Lame in gola

Come si gestisce un attacco di panico?


Boh.
Se cercavate la riposta a questa domanda, avete sbagliato post. Non lo so. Non ne ho proprio idea.
La psicologa dice di parlarne. Mia madre dice di calmarmi.
Sarebbe carino se loro ci avessero mai provato. Di sicuro non direbbero queste stronzate.

Immaginate la scena. Calatevi nel racconto.

Immaginate di essere al lavoro. Vicino a voi c’è il medico tanto carino, simpatico, di cui siete segretamente innamorati. Cambiate pure in dottoressa, se vi aiuta a calarvi meglio nella parte. Compagno di classe, professoressa di aerobica, quello che volete.
Immaginate di aver investito gli ultimi due anni della vostra vita lavorarando duramente per fargli vedere quanto siete bravi e validi, perfetti, che non sbagliate mai. Il collega ottimale, il team dei sogni.
Immaginate che lui, una volta finito, vi batta una pacca sulla spalla e vi dica, sorridendo: “grazie. Perfetto, come sempre”.
Immaginate le farfalle nello Stomaco. Il rossore che grazie a dio c’è la mascherina.
Immaginate che vi chieda, prima di uscire dalla stanza: “tutto bene?” e voi, stupidamente, gli rispondiate “da adesso può solo migliorare”.
Immaginate che sorrida di nuovo ed esca.
Ora siete da soli nella stanza. Il cuore vi batte forte. Siete felici. Vi ha toccato la spalla, vi ha fatto i complimenti. Non avete visto il suo sorriso, ma ha sorriso con gli occhi. Quant’è bello, pensate.
Il cuore vi batte forte.
Un attimo. Batte un po’ troppo forte.
‘Sarà l’agitazione’, pensate. Le farfalle nello stomaco. Vi andate a sedere.
Una collega vi passa davanti. Sei bianca come uno straccio, vi dice. Andiamo a misurare la pressione.
Tu non vuoi. Non vuoi che gli altri se ne accorgano, non vuoi agitare nessuno. O meglio, non vuoi che gli altri sappiano.
Ok, non é ancora successo niente. Ma se succedesse? Altrimenti perché vi sentireste improvvisamente così deboli?


La collega è buona, premurosa. Per fortuna é passata lei, é una persona di cui fidarsi. Vi fa alzare, e improvvisamente il fatto che pavimento e soffitto siano due entità ben distinte non vi sembra vi sembra più così scontato. Perché il cuore vi rimbomba nella testa talmente forte da farvela girare? Perché vi viene da cadere per terra?

“Tutto bene?”


Riconoscete quell’accento. Lo conoscete fin troppo bene.
Quell’accento è l’unico motivo per cui non imprecavate quando vi chiamavano in reperibilità la notte. Quell’accento pesantissimo era la benzina che vi faceva scattare subito sull’attenti. Pronti a partire. Pronti a passare la notte con lui.
Avete sempre adorato sentire la sua voce. Ma non ora, cazzo.
“No dottore, si é sentita male” lo chiama la tua collega fidata. Ma non ce n’è bisogno, lui é già lì. È corso verso di voi.
Quante volte avete fantasticato su questa situazione? Lui che vi corre incontro. Che vede solo voi.
Ma non ora, cazzo.
Sentite che vi prende di nuovo la spalla. Stessa mossa di prima, ma ora… Non ora, cazzo…

Aprite la bocca per dirgli che va tutto bene. Un calo di zuccheri. Una storta alla caviglia. Non si deve preoccupare, niente di che. Siete perfetti. Vero?
Vero, che siete…
Dalla vostra bocca non esce nulla, però. Non vi girate nemmeno verso di lui, non volete che guardi la vostra faccia.
Siete consapevoli che il risultato è penoso. Tutto intorno a voi sta girando, non riuscite a parlare, non volete girare la testa.
Cosa cazzo siete diventati.
Sentite solo la presa alla spalla farsi più solida. “Facciamola sdraiare”, dice quella voce con quell’accento così buffo ma così sexy.
Poteste rispondere sdrammatizzereste tutto con una delle vostre battute, tipo “beh, un po’ precipitoso ma ok, volentieri”, e invece no, avete gli occhi chiusi e i denti stretti e improvvisamente sentite di nuovo – di nuovo – quella lama appoggiata alla gola, quel pugno che vi stringe la trachea, e bon, ci risiamo.
Eccolo che arriva.



Vi fanno sdraiare due secondi esatti prima della crisi. Le lame in gola non vi fanno respirare. Cominciate a iperventilare.
Riuscite giusto ad avere un vago sentore di vergogna, quando sentite lui chiedervi “Stomaco, posso prenderti il polso?”
‘Puoi prendere quello che vuoi’ provate a dire, ma dalla gola le lame tagliano le parole e non fanno uscire nulla. Lui lo prende come un sí.
Vi sente i battiti.
Le mani cominciano a formicolare. Perfetto, momento adatto. Muovete disperatamente le dita cercando di farvi tornare la sensibilità. Lui se ne accorge, e vi stringe la mano.
Ciò che dovrebbe calmarvi non fa altro che agitarvi ancora di più. Vi sta tenendo la mano.
Non avete la forza di stringerla, o la stritolereste. Cazzo, vi sta tenendo la mano.
Cercate di concentrarvi su qualcos’altro. Non sulla mano, non sulla…
L’altra mano vi sta accarezzando la testa.


I respiri si fanno più affannosi. Sempre più dolorosi.
Vi sta passando le dita fra i capelli, vi accarezza la fronte.
Ecco il trigger che serviva al vostro caro attacco di panico per cominciare a sganciare il sintomo ‘formicolio alla faccia’. “Stai tranquilla”, lo sentite dire. “Va tutto bene, siamo qui. Non avere fretta”.
Non avere fretta. La fa facile, lui.
Certo che avete fretta. Volete rimettervi il prima possibile, far smettere questo penoso teatrino. Penoso per voi, per lui, per tutti.



Le lacrime cominciano a scendervi dagli angoli degli occhi. Le sentite scorrere lungo le tempie e verso le orecchie.
Oh, no. Ora anche il pianto incontrollato. Ecco che tutti i sintomi si presentano insieme, fanno l’inchino sul palco agli spettatori e iniziano lo show.
Vi asciughereste il trucco che sta sbavando, se aveste le mani libere. O se riusciste a ricordarvi come cazzo funziona una mano.
La faccia perde completamente sensibilità. Aprite la bocca, tirate dentro l’aria come dei pazzi.
“Fai dei bei respiri, dai” sussurra, sempre accarezzandovi la fronte. Certo, ora mi calmo e faccio dei bei respiri. Come no. Con te addosso.
“Dove hai male?” ti chiede. Indicate con la mano libera la faccia, e lui annuisce. Poi la gola.
“Che tipo di male hai, lì?”
Fate del vostro meglio per incanalare l’aria in uscita fra un respiro e l’altro.
“Come… quando… Si gonfiano le tonsille…” mormorate.
“Hmm, non so. Non ho mai avuto quei problemi”.
Ragionate un attimo.
“Come quando… piangi tantissimo e…”
Lui annuisce. “Questo ce l’ho presente”.
Lo fissate con gli occhi spalancati. No, non volete che soffra. Non pensavate che…
Il respiro si fa ancora più affannoso. Oh, no.

“Vuoi provare a metterti seduta?”
Vi alzate pian piano, facendo leva sulla sua mano. Non è abbastanza, e lui si lascia abbracciare. Sperate disperatamente che il cuore che vi schizza fuori dalla gola non gli prema contro il petto. Sperate che non se ne accorga.
I brividi vi scuotono tutto il corpo. Lui vi rimane appiccicato, cercando di fermare i tremiti.
Vi passa un bicchiere di acqua e zucchero, da sempre panacea di tutti i mali. Ne bevete un sorso e vi sale un conato di vomito.
Ah no. Vomitargli addosso no, per favore.
Lui non si sposta. Maledetto bastardo ligio al dovere. Rimane lì, con un fazzoletto davanti alla vostra bocca.
Siete proprio agli sgoccioli della poca decenza che avevate.
Pensate a tutto quello ne avete fatto finora. Tutti gli sforzi per piacere a lui, agli altri, a voi stessi soprattutto. Per essere bravissimi e super e –

“Devi smetterla di cercare di raggiungere la perfezione, hai capito, cara?”
La collega di cui vi fidate. Finalmente una voce amica. Vi girate verso di lei. “Devi un po’… lasciarti andare. Ascoltarti”.
Lui sorride. Lo sentite sorridere. Sperate che non vi guardi. Che non vi guardi mai più.
Lui abbassa lo sguardo, come per raccogliere le idee. Poi lo rialza subito verso di voi, deciso.
“Quando sei arrivata e ti ho visto la prima volta, dovevi sostituire un collega. Due giorni dopo l’ho chiamato, e gli ho detto di non ritornare mai più”.
In un altro momento vi sareste sciolti. Avreste risposto magari in modo sagace, un “lo so, lo so, sono la migliore”. E invece ora l’unica cosa che riuscite a fare è alzare lo sguardo verso di lui, lo sguardo più colpevole che abbiate mai avuto, e cercare finalmente di parlare. Di dire due frasi di fila.
La gola fa male, malissimo. La voce vi esce flebile come un sussurro.
“Ti ricordi la prima volta che…”
La prima volta che ti ho visto, vorreste dire. C’era una frattura bruttissima. Un paziente difficile. Vi siete organizzati da soli, la sala operatoria non era libera, e vi siete arrangiati con ciò che avevate, due garze, un disinfettante. Lui, nella foga, si è presentato solo col nome. Voi pure. Nessuna stretta di mano, solo un nome pronunciato di fretta e poi dietro al paziente. Era andato bene, davvero tutto bene. Vi eravate guardati, ed avevate sorriso.
“Certo che mi ricordo” vi risponde lui, come se avesse letto nella vostra mente. “Ne abbiamo fatte tante insieme”.
Questo è importante, negli attacchi di panico. Qualcuno che capisca quello che volete comunicare.
E quindi si ricorda. E quindi mi ricorda così, come qualcuno di…

Volevate dire bravo? Perfetto? Affidabile?

No, perché uno che ha un attacco di panico sul lavoro non è affidabile per un cazzo.
Avete rovinato tutto. Tutto.
Le lacrime cominciano a scendere di nuovo. Accompagnate dai singhiozzi.
“Perché piangi?”
“Mi sento… inutile”.
Bene, l’avete detto. L’unica cosa, diciamo, positiva degli attacchi di panico é che annullano le vostre inibizioni e vi fanno parlare – se la gola ve lo permette.
L’importante è riuscire a frenare quello che pensate di lui.
“Smettila di dire queste cazzate. Non sei inutile. Sei agitata”. Si avvicina. “È meglio che ti sdrai di nuovo, ok? Ti alzo le gambe?”
“No… Sì” Mormorate. Perché non farsi coccolare, per una volta.
“E stai tranquilla. Sto qua, non vado da nessuna parte. Va bene?”
Annuite. Certo che va bene.
Tanto, la dignità l’avete già persa un’ora fa.

Si avvicina alla finestra e si accende una sigaretta. Aprite pian piano le palpebre, e ve lo mangiate con gli occhi.
“Ti é già capitato?”
Ecco l’anamnesi clinica, ora. Annuite mestamente.
“Sei seguita da qualcuno?”
Aaah, ecco qui! Seguita da qualcuno. Da uno psichiatra? Da un neurologo? Perché? Perché sono pazza?
Ecco, se avevate un’occasione, una sola, di poter far colpo su di lui è meramente scomparsa. Fine, stop. Adios amigos.
“Prendi dei farmaci?”
No, questo é troppo. Scuotete la testa mente le lacrime ricominciano a scendere.
Ecco che ritorna la crisi di pianto.
“Eh, no. Ora basta, eh”. Getta la sigaretta dalla finestra e si riavvicina a voi.
“Ti sto… facendo perdere tempo…”
“Non ho un cazzo da fare”.
Mente, lo sapete. Ha già rifiutato tre chiamate al telefono da quando è lì con voi, lo avete visto. Gli faranno un culo quadro.
Però ora è qui con voi. Per voi. L’attacco di panico è una merda, ma almeno è qui con voi.
E vi sentite una merda a pensare a questo, come se ne approfittaste. Vi sentite degli stronzi schifosi.
Vorreste solo sotterrarvi e aspettare che tutti se ne siano andati prima di riemergere.

L’attacco, pian piano, passa. Vi siete rimessi seduti, avete bevuto un thé caldo – senza zucchero. Lui vi sta raccontando della sua terra lontana, con il suo accento buffo ma sexy. Vi fa sorridere.
Finite il thé, il suo telefono squilla di nuovo. Questa volta risponde.
“Devo andare”, sospira. Si appoggia una mano sul fianco, sotto al camice. É l’unico medico che conoscete che sotto al camice mette la divisa dell’ospedale.
Alzate gli occhi verso di lui. Sono lucidi e supplicanti. Preoccupati.
Il bicchiere di carta del thé é ridotto ad un frisbee da quanto lo avete stritolato.
“Scusami”, sussurrate.
“Ehi”. Vi afferra la spalla e vi fissa. I vostri occhi si spalancano ancora di più.
“Non devi scusarti di un cazzo”.

Il vero problema é il dopo.
Il nulla in cui l’attacco di panico vi lascia a galleggiare.
Prima avevate cento persone intorno, ora nessuno. Ora state meglio. Eppure, forse anche ora avete bisogno di aiuto.
Raggiungete la vostra amica, che di tutto il discorso capisce che forse è arrivato il momento di chiedere il numero di quel medico tanto carino.
Chiedergli il numero? No. Come potrebbe mai uscire con qualcuno che ha gli attacchi di panico? Che si é fatto vedere in quello stato?
Vi siete mostrati deboli, fallaci, imperfetti. Fragili.
Come si può trovare attraente una persona fragile? Una come voi?
Vi siete giocati tutto.

Che fate, ora? Come si fa?

Come si gestisce un attacco di panico? Come si gestisce il dopo?
Io, personalmente, mi metto a letto e stringo i denti.

Buoni sogni e buoni incubi.

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