Recensione – I rami del tempo

Premessa: è una trilogia autoprodotta.
Ho una grandissima stima di chi lascia tutto per inseguire i suoi sogni. Io l’ho fatto, è stata dura, ma devo ammettere che il mio sogno era molto materiale. Bastava studiare. E farsi il culo.
Non sto dicendo che sia stato semplice, badate bene, ma sono arrivata ad un certo punto sicura di me e delle mie capacità.
Per uno scrittore, invece, è molto diverso. Non ci sono prove oggettive, test, esami che ti dicano quanto sei effettivamente bravo; ti butti, ci provi, mandi il tuo manoscritto a un editore e ti prepari a bocca aperta a prendere valangate di merda.
Peggio ancora è quando ti autoproduci. Sì, alla fine il tuo libro esce, ma chi può essere il tuo vero feedback?
I lettori ai quali regali il tuo libro? Quelli che lo comprano? I tuoi parenti? I tuoi amici? Il numero di download su Amazon quando metti l’ebook gratuito?
Chi ha le qualifiche serie per poterti dire se il tuo è un bel libro o no? Fino a che punto si spinge la soggettività?

Finita la premessa, andiamo alla recensione.


I rami del tempo. Il segreto della sorgente. L’erede della luce.
Questi libri li ho comprati.
No, vi spiego: leggo in giro molti blog che ne fanno le recensioni, ma l’hanno ricevuto in regalo. Posso capire la situazione: può essere un po’… Vincolante?
Non fraintendetemi, magari quel libro gli è piaciuto davvero, ma per me sarebbe comunque imbarazzante. Se non mi piacesse, piuttosto eviterei di parlarne.
Ecco, non ho questo tipo di vincolo e posso permettermi di essere sincera.

Questo libro mi fa cagare.
Ora che ho detto la parte più difficile, posso sentirmi un po’ più sollevata e tranquilla, ed entrare di più nel dettaglio.
Questo libro è agghiacciante.

Speedy Gonzales

La prima pagina si apre con una scena di gelosia ad un matrimonio. Il matrimonio è fra personaggi che non verranno nemmeno nominati, perché la vera protagonista è la coppia che gioca a giochini di seduzione con dei ragazzi più giovani. Questa coppia è la testimone al matrimonio che si sta svolgendo.
La scena si apre a climax esattamente dodici – DODICI – righe dopo.
Il matrimonio si trasforma in una carneficina. Il sacerdote muore con una scheggia (?) nella fronte. Tuttio muoiono maciullati. Si salvano in tre.

Partiamo da questa prima pagina. Cosa c’è che non va?
I giochini di seduzione, l’introduzione del personaggio, dell’ambientazione, tutto quanto si esaurisce in dodici righe? E si passa immediatamente all’azione?
Che poi, che azione? Una carneficina descritta in altre quattordici righe – QUATTORDICI – dopodiché “cessa”.
In pratica, in una facciata di foglio A5 abbiamo già assisitito a tutto ciò che doveva succedere.
Verrà approfondito in seguito? Neanche tanto, la pioggia è stata una magia e il matrimonio non viene più nominato. I tre superstiti, che ricordiamo essere i testimoni degli sposi, penso dedichino giusto quattro parole ai defunti, dopodiché i loro interessi principali diventano trombarsi fra loro.
Che genere è questo libro?
Non lo so, e non so dirlo. Potrebbe essere fantasy, ma poi arrivano i viaggi nel tempo, spuntano fuori navicelle spaziali… È quindi di fantascienza? Forse, ma si parla di Re, l’ambientazione (per quanto descritta) sembra medievale, le armi pure… Si combatte con frecce e spade… È quindi genere epico? Ma cosa c’è di epico?
Già dall’inizio si fatica a comprendere di cosa stiamo effettivamente parlando, perché il ritmo è veloce, troppo veloce. C’è una quantità sporopositata di carne al fuoco che grigliata di Pasquetta levati, approfondita poco e spiegata ancora meno. Si arriva all’ultima pagina del primo volume che sì, si è capito tutto, ma in fondo non è successo un cazzo.
I capitoli sono lunghi in media una facciata. Sulle trenta righe.
Come diavolo fai? Trenta righe? E cambi il punto di vista? Non fai in tempo a capire di cosa stiamo effettivamente parlando che bum, cambio di scena. Sembra che ci sia una fretta allucinante, fretta che purtroppo porta inevitabilmente al secondo problema di questo libro…

Buchi nella trama

Facciamo un passo indietro e torniamo alle Nozze Rosse.
L’intera popolazione viene sterminata durante quel matrimonio. Quindi tutta l’isola era presente? L’autore ricorre ad uno stratagemma narrativo dicendo che tutta la popolazione doveva esserci perché i sacerdoti (due) volevano così. ‘Ca troia. Che spesa incredibile devono aver affrontato i due poveri sposi?
Oppure l’isola era abitata solo da una trentina di persone? Che tare genetiche dovevano esserci fra i nascituri?
Vabbè dai, si può chiudere un occhio davanti al primo espediente narrativo. Magari lo spiegano meglio dopo.
Però poi leggi che l’attentato al Re è di una semplicità disarmante. Basta che una ragazzina gli dìa da bere il veleno mentre gli fa una sega.
Pensandoci bene, anche l’attentato alla Sacerdotessa è abbastanza strano. Il tizio le si avvicina e la fa fuori. Sta qua legge nella mente, ma non si era acccorta delle vere intenzioni dell’uomo.
L’intera vicenda è un grande, enorme buco nella trama. Basta un’ombra nell’acqua per far mettere una coppia di sposi l’uno contro l’altro. Basta la promessa di un rapporto saffico per convincere una donna desiderosa di figli ad abbandonare la vita coniugale. Bastano un paio di gambe per convincere il mago di corte a tradire il suo Re – mago che riesce a sterminare popolazioni intere, ma non riesce ad evitare di venire picchiato da tutti.
La trama c’è, per l’amor di dio; ma manca di quella che può venire definita una vera e propria revisione. Sembra che chi scrive non si sia posto il minimo dubbio, sembra che i personaggi non siano dotati di personalità, ma facciano esattamente ciò che gli ordina l’autore – e non quello che una persona dotata di volere proprio potrebbe fare. È una forzatura incredibile, il risultato è insensato e i personaggi risultano meri espedienti narrativi.
Già in precedenza mi ero trovata di fronte ad un groviera cinematografico, Suicide Squad. Lì, però, i buchi nella trama erano colmati dal culo di Margot Robbie.
Qui, qual è il collante che cerca di evitare che questo libro crolli sotto il peso dei suoi stessi vuoti?

Il sesso, ovvero: oddio che meraviglia questo mondo dei grandi

Il sesso, vero collante di questa trama, viene affrontato con la stessa curiosità morbosa di un preadolescente. Che mondo meraviglioso! A cosa potrà mai portare l’atto sessuale, questo sconosciuto mondo che ancora non comprendo?
La morbosa curiosità fine a se stessa è l’unica emozione che suscitano le scene di sesso in questro libro. Il pollice del Re che entra nella fregna della schiavetta, il pompino subacqueo (wtf), donne che leccano e ciucciano e succhiano e cavalcano descritte – no, un attimo, non vengono descritte. Solitamente è tutto descritto in modo molto vago dal punto di vista dell’uomo. Non si parla dello schifo della schiavetta verso il Re vecchio (che poi, è davvero vecchio? Viene mai descritto?), o delle chiare difficoltà respiratorie di una povera crista costretta alla fellatio in snorkeling. Non si parla nemmeno di cose particolarmente interessanti. No, viene tutto buttato lì, come se non si sapesse nemmeno bene cosa e come si facciano queste cosacce, ma sembra che faccia molto fico se lo dico e quindi lo scriverò proprio qui, così tutti penseranno che le abbia provate anch’io.
L’unica descrizione da letteratura erotica, e ripeto, totalmente fine a se stessa, è la mirabolante vicenda della masturbazione del marito della protagonista, qui esposta e riportata nei minimi dettagli, dal crescendo/diminuendo di velocità delle tornate (sic) della mano alla traiettoria parabolica dello sperma fino al mento dell’uomo. Gnam.


Last but not least, questa morbosa curiosità da fanfiction PWP sembra aver contagiato anche i personaggi stessi, che – dal primo all’ultimo – non riescono a far nulla che non sia pensare al sesso.
La sacerdotessa vergine? Vede una figa – peraltro già vista da trent’anni – e diventa improvvisamente lesbica.
La moglie devota (che però faceva giochini di seduzione con altri uomini)? Lesbica anche lei in quattro righe.
Il Re? Beh, il Re semplicemente vuole solo trombare.
Le mogli del Re? Trombano il Re e le altre mogli del Re.
Le serve di palazzo? Violentano preadolescenti.
I maghi di palazzo? Basta l’ombra del pelo e bum, tradiscono Re.
Tutti i soldati di tutti gli eserciti esistenti? Vogliono solo violentare tutte le donne che vedono.
Le parenti di tutti i soldati di tutti gli eserciti esistenti? A loro volta sono state violentate.
Prigioniere? Violentate.
Maghe? Violentate.
Sacerdotesse? … Ma devo andare avanti?
Giusto per portare un esempio, a metà libro ci si trova davanti ad una vicenda parallela, che altro non è che l’ennesimo matrimonio del Re. Questo matrimonio non s’ha da fare, perché manca il padre della ragazza. Quindi? Che si fa? Si aspetta che il padre arrivi?
Eh no, perché il Re vuole TROMBARE la ragazza. La vuole penetrare, possedere, chiavare, violentare, riempire. Due pagine di febbrile attesa del padre della ragazza che ci sbloccherà l’achievement trivellata. E no, il padre non arriva, e in un’attesa Fantozziana il Re passa il tempo con la mano sul pene cercando di ritardare l’orgasmo. Quanto ci vuole? Vuoi arrivare o no? Così io vengo? Ah ah ah
Come si risolve la faccenda? Boh. Il capitolo cambia, il POV pure, si descrive un’altra vicenda e bon, il matrimonio viene dimenticato.
Caro autore.
Ma perché?

Ad un certo punto – e qui ho semplicemente deciso di lasciar perdere, di smettere di farmi del male – una donna che viaggia nel tempo col solo risultato di essere violentata alla fine impazzisce per le violenze (credo, non è che venga spiegato) e diventa una mezza ninfomane, pronta a saltare addosso a tutti/e quelli che entrano nella stanza.
Fase di elaborazione del trauma, presumo.
Bon, ho detto. Ero a metà del secondo libro – sì, perché interrompere al primo non si può, non è successo quasi nulla – e ho pensato, ma chi me lo fa fare?

Raramente abbandono un libro. Sono arrivata alla fine del Pendolo di Focault, direi che coraggio ne ho. Eppure, qui mi sembrava esclusivamente di perdere tempo.
La sintassi è da terza elementare. Le subordinate sono quasi inesistenti. Le descrizioni sono approssimative, cadono dal nulla, sconnesse l’una con l’altra; ma sono tutti difetti migliorabili. Un libro autoprodotto, il sogno della scrittura… Apprezzo moltissimo il coraggio dell’autore, o non avrei mai comprato e letto questi libri.
Purtroppo, l’assenza di trama (a parte il sesso), l’approssimazione di tutto il resto (sesso compreso) e le sconfortanti scene di sesso sono qualcosa che va oltre il mio coraggio. Sono la mia sconfitta.

Lame in gola

Come si gestisce un attacco di panico?


Boh.
Se cercavate la riposta a questa domanda, avete sbagliato post. Non lo so. Non ne ho proprio idea.
La psicologa dice di parlarne. Mia madre dice di calmarmi.
Sarebbe carino se loro ci avessero mai provato. Di sicuro non direbbero queste stronzate.

Immaginate la scena. Calatevi nel racconto.

Immaginate di essere al lavoro. Vicino a voi c’è il medico tanto carino, simpatico, di cui siete segretamente innamorati. Cambiate pure in dottoressa, se vi aiuta a calarvi meglio nella parte. Compagno di classe, professoressa di aerobica, quello che volete.
Immaginate di aver investito gli ultimi due anni della vostra vita lavorarando duramente per fargli vedere quanto siete bravi e validi, perfetti, che non sbagliate mai. Il collega ottimale, il team dei sogni.
Immaginate che lui, una volta finito, vi batta una pacca sulla spalla e vi dica, sorridendo: “grazie. Perfetto, come sempre”.
Immaginate le farfalle nello Stomaco. Il rossore che grazie a dio c’è la mascherina.
Immaginate che vi chieda, prima di uscire dalla stanza: “tutto bene?” e voi, stupidamente, gli rispondiate “da adesso può solo migliorare”.
Immaginate che sorrida di nuovo ed esca.
Ora siete da soli nella stanza. Il cuore vi batte forte. Siete felici. Vi ha toccato la spalla, vi ha fatto i complimenti. Non avete visto il suo sorriso, ma ha sorriso con gli occhi. Quant’è bello, pensate.
Il cuore vi batte forte.
Un attimo. Batte un po’ troppo forte.
‘Sarà l’agitazione’, pensate. Le farfalle nello stomaco. Vi andate a sedere.
Una collega vi passa davanti. Sei bianca come uno straccio, vi dice. Andiamo a misurare la pressione.
Tu non vuoi. Non vuoi che gli altri se ne accorgano, non vuoi agitare nessuno. O meglio, non vuoi che gli altri sappiano.
Ok, non é ancora successo niente. Ma se succedesse? Altrimenti perché vi sentireste improvvisamente così deboli?


La collega è buona, premurosa. Per fortuna é passata lei, é una persona di cui fidarsi. Vi fa alzare, e improvvisamente il fatto che pavimento e soffitto siano due entità ben distinte non vi sembra vi sembra più così scontato. Perché il cuore vi rimbomba nella testa talmente forte da farvela girare? Perché vi viene da cadere per terra?

“Tutto bene?”


Riconoscete quell’accento. Lo conoscete fin troppo bene.
Quell’accento è l’unico motivo per cui non imprecavate quando vi chiamavano in reperibilità la notte. Quell’accento pesantissimo era la benzina che vi faceva scattare subito sull’attenti. Pronti a partire. Pronti a passare la notte con lui.
Avete sempre adorato sentire la sua voce. Ma non ora, cazzo.
“No dottore, si é sentita male” lo chiama la tua collega fidata. Ma non ce n’è bisogno, lui é già lì. È corso verso di voi.
Quante volte avete fantasticato su questa situazione? Lui che vi corre incontro. Che vede solo voi.
Ma non ora, cazzo.
Sentite che vi prende di nuovo la spalla. Stessa mossa di prima, ma ora… Non ora, cazzo…

Aprite la bocca per dirgli che va tutto bene. Un calo di zuccheri. Una storta alla caviglia. Non si deve preoccupare, niente di che. Siete perfetti. Vero?
Vero, che siete…
Dalla vostra bocca non esce nulla, però. Non vi girate nemmeno verso di lui, non volete che guardi la vostra faccia.
Siete consapevoli che il risultato è penoso. Tutto intorno a voi sta girando, non riuscite a parlare, non volete girare la testa.
Cosa cazzo siete diventati.
Sentite solo la presa alla spalla farsi più solida. “Facciamola sdraiare”, dice quella voce con quell’accento così buffo ma così sexy.
Poteste rispondere sdrammatizzereste tutto con una delle vostre battute, tipo “beh, un po’ precipitoso ma ok, volentieri”, e invece no, avete gli occhi chiusi e i denti stretti e improvvisamente sentite di nuovo – di nuovo – quella lama appoggiata alla gola, quel pugno che vi stringe la trachea, e bon, ci risiamo.
Eccolo che arriva.



Vi fanno sdraiare due secondi esatti prima della crisi. Le lame in gola non vi fanno respirare. Cominciate a iperventilare.
Riuscite giusto ad avere un vago sentore di vergogna, quando sentite lui chiedervi “Stomaco, posso prenderti il polso?”
‘Puoi prendere quello che vuoi’ provate a dire, ma dalla gola le lame tagliano le parole e non fanno uscire nulla. Lui lo prende come un sí.
Vi sente i battiti.
Le mani cominciano a formicolare. Perfetto, momento adatto. Muovete disperatamente le dita cercando di farvi tornare la sensibilità. Lui se ne accorge, e vi stringe la mano.
Ciò che dovrebbe calmarvi non fa altro che agitarvi ancora di più. Vi sta tenendo la mano.
Non avete la forza di stringerla, o la stritolereste. Cazzo, vi sta tenendo la mano.
Cercate di concentrarvi su qualcos’altro. Non sulla mano, non sulla…
L’altra mano vi sta accarezzando la testa.


I respiri si fanno più affannosi. Sempre più dolorosi.
Vi sta passando le dita fra i capelli, vi accarezza la fronte.
Ecco il trigger che serviva al vostro caro attacco di panico per cominciare a sganciare il sintomo ‘formicolio alla faccia’. “Stai tranquilla”, lo sentite dire. “Va tutto bene, siamo qui. Non avere fretta”.
Non avere fretta. La fa facile, lui.
Certo che avete fretta. Volete rimettervi il prima possibile, far smettere questo penoso teatrino. Penoso per voi, per lui, per tutti.



Le lacrime cominciano a scendervi dagli angoli degli occhi. Le sentite scorrere lungo le tempie e verso le orecchie.
Oh, no. Ora anche il pianto incontrollato. Ecco che tutti i sintomi si presentano insieme, fanno l’inchino sul palco agli spettatori e iniziano lo show.
Vi asciughereste il trucco che sta sbavando, se aveste le mani libere. O se riusciste a ricordarvi come cazzo funziona una mano.
La faccia perde completamente sensibilità. Aprite la bocca, tirate dentro l’aria come dei pazzi.
“Fai dei bei respiri, dai” sussurra, sempre accarezzandovi la fronte. Certo, ora mi calmo e faccio dei bei respiri. Come no. Con te addosso.
“Dove hai male?” ti chiede. Indicate con la mano libera la faccia, e lui annuisce. Poi la gola.
“Che tipo di male hai, lì?”
Fate del vostro meglio per incanalare l’aria in uscita fra un respiro e l’altro.
“Come… quando… Si gonfiano le tonsille…” mormorate.
“Hmm, non so. Non ho mai avuto quei problemi”.
Ragionate un attimo.
“Come quando… piangi tantissimo e…”
Lui annuisce. “Questo ce l’ho presente”.
Lo fissate con gli occhi spalancati. No, non volete che soffra. Non pensavate che…
Il respiro si fa ancora più affannoso. Oh, no.

“Vuoi provare a metterti seduta?”
Vi alzate pian piano, facendo leva sulla sua mano. Non è abbastanza, e lui si lascia abbracciare. Sperate disperatamente che il cuore che vi schizza fuori dalla gola non gli prema contro il petto. Sperate che non se ne accorga.
I brividi vi scuotono tutto il corpo. Lui vi rimane appiccicato, cercando di fermare i tremiti.
Vi passa un bicchiere di acqua e zucchero, da sempre panacea di tutti i mali. Ne bevete un sorso e vi sale un conato di vomito.
Ah no. Vomitargli addosso no, per favore.
Lui non si sposta. Maledetto bastardo ligio al dovere. Rimane lì, con un fazzoletto davanti alla vostra bocca.
Siete proprio agli sgoccioli della poca decenza che avevate.
Pensate a tutto quello ne avete fatto finora. Tutti gli sforzi per piacere a lui, agli altri, a voi stessi soprattutto. Per essere bravissimi e super e –

“Devi smetterla di cercare di raggiungere la perfezione, hai capito, cara?”
La collega di cui vi fidate. Finalmente una voce amica. Vi girate verso di lei. “Devi un po’… lasciarti andare. Ascoltarti”.
Lui sorride. Lo sentite sorridere. Sperate che non vi guardi. Che non vi guardi mai più.
Lui abbassa lo sguardo, come per raccogliere le idee. Poi lo rialza subito verso di voi, deciso.
“Quando sei arrivata e ti ho visto la prima volta, dovevi sostituire un collega. Due giorni dopo l’ho chiamato, e gli ho detto di non ritornare mai più”.
In un altro momento vi sareste sciolti. Avreste risposto magari in modo sagace, un “lo so, lo so, sono la migliore”. E invece ora l’unica cosa che riuscite a fare è alzare lo sguardo verso di lui, lo sguardo più colpevole che abbiate mai avuto, e cercare finalmente di parlare. Di dire due frasi di fila.
La gola fa male, malissimo. La voce vi esce flebile come un sussurro.
“Ti ricordi la prima volta che…”
La prima volta che ti ho visto, vorreste dire. C’era una frattura bruttissima. Un paziente difficile. Vi siete organizzati da soli, la sala operatoria non era libera, e vi siete arrangiati con ciò che avevate, due garze, un disinfettante. Lui, nella foga, si è presentato solo col nome. Voi pure. Nessuna stretta di mano, solo un nome pronunciato di fretta e poi dietro al paziente. Era andato bene, davvero tutto bene. Vi eravate guardati, ed avevate sorriso.
“Certo che mi ricordo” vi risponde lui, come se avesse letto nella vostra mente. “Ne abbiamo fatte tante insieme”.
Questo è importante, negli attacchi di panico. Qualcuno che capisca quello che volete comunicare.
E quindi si ricorda. E quindi mi ricorda così, come qualcuno di…

Volevate dire bravo? Perfetto? Affidabile?

No, perché uno che ha un attacco di panico sul lavoro non è affidabile per un cazzo.
Avete rovinato tutto. Tutto.
Le lacrime cominciano a scendere di nuovo. Accompagnate dai singhiozzi.
“Perché piangi?”
“Mi sento… inutile”.
Bene, l’avete detto. L’unica cosa, diciamo, positiva degli attacchi di panico é che annullano le vostre inibizioni e vi fanno parlare – se la gola ve lo permette.
L’importante è riuscire a frenare quello che pensate di lui.
“Smettila di dire queste cazzate. Non sei inutile. Sei agitata”. Si avvicina. “È meglio che ti sdrai di nuovo, ok? Ti alzo le gambe?”
“No… Sì” Mormorate. Perché non farsi coccolare, per una volta.
“E stai tranquilla. Sto qua, non vado da nessuna parte. Va bene?”
Annuite. Certo che va bene.
Tanto, la dignità l’avete già persa un’ora fa.

Si avvicina alla finestra e si accende una sigaretta. Aprite pian piano le palpebre, e ve lo mangiate con gli occhi.
“Ti é già capitato?”
Ecco l’anamnesi clinica, ora. Annuite mestamente.
“Sei seguita da qualcuno?”
Aaah, ecco qui! Seguita da qualcuno. Da uno psichiatra? Da un neurologo? Perché? Perché sono pazza?
Ecco, se avevate un’occasione, una sola, di poter far colpo su di lui è meramente scomparsa. Fine, stop. Adios amigos.
“Prendi dei farmaci?”
No, questo é troppo. Scuotete la testa mente le lacrime ricominciano a scendere.
Ecco che ritorna la crisi di pianto.
“Eh, no. Ora basta, eh”. Getta la sigaretta dalla finestra e si riavvicina a voi.
“Ti sto… facendo perdere tempo…”
“Non ho un cazzo da fare”.
Mente, lo sapete. Ha già rifiutato tre chiamate al telefono da quando è lì con voi, lo avete visto. Gli faranno un culo quadro.
Però ora è qui con voi. Per voi. L’attacco di panico è una merda, ma almeno è qui con voi.
E vi sentite una merda a pensare a questo, come se ne approfittaste. Vi sentite degli stronzi schifosi.
Vorreste solo sotterrarvi e aspettare che tutti se ne siano andati prima di riemergere.

L’attacco, pian piano, passa. Vi siete rimessi seduti, avete bevuto un thé caldo – senza zucchero. Lui vi sta raccontando della sua terra lontana, con il suo accento buffo ma sexy. Vi fa sorridere.
Finite il thé, il suo telefono squilla di nuovo. Questa volta risponde.
“Devo andare”, sospira. Si appoggia una mano sul fianco, sotto al camice. É l’unico medico che conoscete che sotto al camice mette la divisa dell’ospedale.
Alzate gli occhi verso di lui. Sono lucidi e supplicanti. Preoccupati.
Il bicchiere di carta del thé é ridotto ad un frisbee da quanto lo avete stritolato.
“Scusami”, sussurrate.
“Ehi”. Vi afferra la spalla e vi fissa. I vostri occhi si spalancano ancora di più.
“Non devi scusarti di un cazzo”.

Il vero problema é il dopo.
Il nulla in cui l’attacco di panico vi lascia a galleggiare.
Prima avevate cento persone intorno, ora nessuno. Ora state meglio. Eppure, forse anche ora avete bisogno di aiuto.
Raggiungete la vostra amica, che di tutto il discorso capisce che forse è arrivato il momento di chiedere il numero di quel medico tanto carino.
Chiedergli il numero? No. Come potrebbe mai uscire con qualcuno che ha gli attacchi di panico? Che si é fatto vedere in quello stato?
Vi siete mostrati deboli, fallaci, imperfetti. Fragili.
Come si può trovare attraente una persona fragile? Una come voi?
Vi siete giocati tutto.

Che fate, ora? Come si fa?

Come si gestisce un attacco di panico? Come si gestisce il dopo?
Io, personalmente, mi metto a letto e stringo i denti.

Buoni sogni e buoni incubi.

Recensione – Infinite Jest

“E Guardate, poiché la Terra era priva di forma, e vuota.

E Oscurità ovunque si stendeva sul Volto del Profondo.

E Noi dicemmo:

Guardate quella fottuta Danza”.

Sto tenendo una rendicontazione severissima sui libri che leggo quest’anno, e sulle tempistiche di lettura degli stessi. Due anni fa li ho abbandonati, li ho trascurati, e mi sono sentita davvero una merda.
Ergo, è necessario recuperare il tempo perso prima che tiri le cuoia e non abbia ancora letto metà di ciò che voglio effettivamente leggere.

Questo libro era sul mio scaffale da un po’, e fra le mie idee da ancora di più. Sono secoli che mi ero ripromessa di leggerlo, ma 1. non lo trovavo in libreria e 2. quando finalmente l’ho trovato a prezzo pieno ho aspettato che ne arrivasse una copia usata. Dopo un po’ di mesi mi sono resa conto che no, non ci sono molte copie usate in circolazione, e forse dovevo farmi qualche domanda.

La risposta è che questo libro non l’ha letto quasi nessuno.

Il perché potrebbe sembrare abbastanza lampante: 1280 pagine nell’edizione dell’Einaudi, quelle belle edizioni mattone che profumano di Enciclopedia e di libri che si tengono sulle mensole all’ingresso per far vedere quanto siamo colti e alternativi in questa casa. No, noi non usiamo Wikipedia, noi cerchiamo davvero. Quindi, chi ce l’ha se lo tiene. Che l’abbia letto o no.

Perché ho provato a leggerlo? Perché, secondo la mia rendicontazione severissima, l’ho finito in un mese e diciassette giorni? Sono forse malata? Mentre all’ultima domanda la risposta appare quasi scontata – certo che lo sono – per le prime due c’è bisogno di un attimo di introspezione.

Sì, introspezione. Perché questo libro, forse vi spiacerà sentirlo, non è altro che una serie di sedute di psicoterapia.

Non fatico a capire perché Wallace si sia suicidato dopo averlo finito.

Che cosa è?

Non lo so. Davvero, non lo so.

Temi: la prima domanda che vi porgeranno tutti, non appena vi vedranno portarvi appresso questo muro di pagine – sì, perché ve lo porterete appresso, giorno, notte, durante il lavoro, mentre cagate, tra una schermata di caricamento e l’altra del nuovo videogioco che avete iniziato (coff – Cyberpunk – coff) – dicevo, la prima domanda che vi faranno sarà la fatidica: 

“Di che cosa parla?”

La cui unica risposta sensata, in questo mese e mezzo, è stata: “Boh. Sono solo a pagina 600”.

Ora che l’ho finito, ma forse anche prima, posso dire che parla di tutto.
Che banalità, Stomaco. Sparati.
No, davvero: parla di tutto. Di ogni cosa.

Quando ero al liceo, il mio prof di Greco era abbastanza una celebrità – e sbragava figa senza ritegno – perché sapeva parlare un po’ di tutto, come le geishe. Sapeva parlare di foglie degli alberi, di nodi nautici, di Catullo, Aristofane e della struttura architettonica delle cantine del Nord Italia.

Questo libro è un po’ il mio prof di Greco, che saluto. E’ un po’ come la Montagna Incantata. C’è dentro di tutto, dagli sproloqui didascalici dell’autore che sembra voglia indottrinarci su qualcosa che lui sa benissimo all’architettura agli incontri degli Alcolisti Anonimi di Boston (di cui ora sono una grande esperta) a come svaligiare un appartamento alla depressione all’anedonia a questa cazzo di stream of consciousness che mi porterò dietro sempre in tutto quello che leggo e che non abbandonerà mai nemmeno voi. L’autore ha inventato, per voi e solo per voi, una struttura politica, le regole di un gioco allucinante, un sistema di numerazione degli anni, una filmografia fittizia con tanto di trame, attori, supporti di pellicola. La Cult du Prochain Train.

Di che parla? Si fa prima a dire di cosa non parli.

In linea di massima, per aiutarvi a capire, c’è una trama centrale che sembra essere portata avanti con un rilento esasperante, ma è un blando pretesto per parlare di quello di cui l’autore vuole davvero parlare: la schifosa società Americana ormai allo sbando e allo sbaraglio, comica, anzi umoristica, riprovevole, ma dopotutto in alcuni casi giustificabile. O forse dell’Io particolare in contrapposizione all’Io Universale. Pensandoci bene, forse è una critica agli Stati (ONAN, nel testo) e ai loro problemi che non valgono nulla in confronto ai problemi dell’anima.

Detto così fa veramente schifo, ma perché dovrei farne una bella pubblicità? Se avete voglia di leggerlo sono beati cazzi vostri. Buoni sogni e buoni incubi.

Genere: questa la so. E’ letteratura postmoderna.
Vi piace Palahniuk? Io personalmente lo adoro. Ecco, Palahniuk ha preso molto da Wallace. Il finale sconcertante, che vi fa venire voglia di rileggere tutto il libro sotto un’ottica di consapevolezza differente (scherzo, non lo rileggerò). La prosa al vetriolo. La cultura pop. citando Bissell nell’introduzione, “anche quando non stai leggendo, ti allena a osservare il mondo reale attraverso le lenti della sua prosa”. 

No, non è come un libro di Ballard, dove non si capisce un cazzo in centocinquanta pagine. così sono capaci tutti. Qui si mantiene una tremenda lucidità, fino alla fine.

Pubblico: non so per chi sia questo libro. Posso affermare senza timore di smentita che non è per chi, come dire, non riesce a pensare lateralmente.

Non so se riesco a spiegarmi in modo esaustivo: io definisco, probabilmente per mio neologismo o per lessico familiare, “pensiero laterale” qualsiasi forma di ragionamento che implichi un secondo (o terzo) sottolivello di lettura. È il prendere un’altra strada per arrivare a un concetto. Per comprendere i personaggi del libro, e quindi il libro stesso, è necessario pensare in modo diverso. In modo inusuale.

Avvertimenti: può essere pericoloso. Sia a livello fisico se banalmente vi cade su un piede, sia a livello emotivo: può indurvi a guardarvi dentro in un modo che forse non vi piacerà. Personalmente, a me è successo.

Le questioni pratiche – ovvero: le domande scomode

Livello di impegno: ★★★★☆. Cazzo se non è impegnativo questo libro. Ok, non gli dò 5 stelle perché ho trovato l’Ulisse molto più difficile da digerire – molti più personaggi, davvero niente punteggiatura. Questo è, per così dire, scorrevole. Peccato che sia immensamente lungo e, a tratti, pesante emotivamente.

Tempo: ★★★★★. Ci vuole il tempo che ci vuole. Non forzatelo, potreste trovarvi la testa troppo piena di tutto.

Difficoltà del linguaggio: ★★★★☆. Come ho detto prima, è uno stile postmoderno. Abbreviazioni mai specificate, parole inventate, situazioni inventate, regole grammaticali inventate, ma, come diceva sempre la mia prof di Italiano – che saluto – un autore bravo può permettersi di inventare una sintassi diversa quando è diventato talmente bravo da padroneggiare maestralmente quella già esistente. E, in effetti, in Wallace si vede; non ne sbaglia una.

Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello di dire “qui, forse, avrei fatto diversamente”. Mi è capitato, ad ogni pagina, di dire “cazzo, vorrei averlo scritto io”. Wow.

Divertimento: ★★★☆☆. Direi che 3 stelle su 5 è forse anche troppo. come leggerete in altre centocinquante recensioni, ci sono pagine che fanno sbellicare dalle risate, e altre che trascinano nel rifiuto per la vita più profondo che manco i Grandi Antichi. Ma anche nelle pagine più divertenti si nota una base di tristezza: non sto a spiegarvi la differenza fra comicità e umorismo, ma è chiaro che qui di comico non c’è proprio nulla.

Ansia e disagio: ★★★★★. Un libro che veramente scatena i miei Φόβος e Δεῖμος personali (Crimine e Disagio, dovrò un giorno scriverli in Greco e tatuarmeli sulle cosce). cazzo che depressione cronica. Cazzo che traumi infantili.

Lo adoro.

Difetti: ★★★☆☆. E’ lungo. E’ prolisso. E’ infinito. Ci sono capitoli che durano 40 pagine e non portano assolutamente a nulla, ci sono cento (CENTO) pagine di note a pié di pagina, note esse stessa da decine di pagine e comprendenti delle SOTTONOTE, ma saltare tutto ciò ovviamente non si può, no, perchè in quelle decine di pagine ci sarà una frase, una sola, che ti farà capire tutto. E succede davvero, cazzo.

Le emozioni che trasmette

Ho già detto depressione?

Un personaggio fico: io ho adorato Don Gately. Don è il tipico esempio di ragazzotto adulto con un’infanzia difficile, che si trascina nel male per cercare ingenuamente di salvare gli altri; mangiato dal rimorso di non aver mai fatto abbastanza, è disperato al punto da mollare tutto e non tornare più in superficie. Eppure, da come apprendiamo nei primi capitoli, lui è tornato in superficie, e sta lottando con denti e artigli per non ricadere mai più, nemmeno quando il dolore diventa allucinante ed insopportabile. Perché lui non è un ragazzo intelligente, è solo fisicamente fortissimo: e sapendo solo caricare a testa bassa, risolve tutti i suoi problemi in questo modo.

Personaggi da odiare: non ci sono dei veri e propri cattivi, in questa storia. Tutti hanno dentro di sé della speranza, anche i più malvagi, mentre quelli che a prima vista sembrerebbero perfetti sono forse i più marci.
Tutti, tranne Randy Lentz. Randy Lentz deve morire male. 

Colore: è stranissimo, ma l’ambientazione della E.T.A. (l’Enfield Tennis Academy per rampolli super ricchi e talentuosi) mi ha sempre suscitato immagini in bianco e nero. La Ennett, invece (la casa di recupero per tossicodipendenti e alcolisti) regala immagini vivide, brillanti, vere. Come se la vera vita fosse lì, senza finzioni. Dove tutti sono liberi di essere loro stessi, di chiedere aiuto, di chiedere scusa.

Canzone: una canzone di Bowie, senza ombra di dubbio. Qualcosa di punk e triste.

Rumore: il sordo pop delle palline da tennis colpite da racchette Wilson.

Odore: l’odore delle palline da tennis. Il vapore che fa lacrimare gli occhi dei superalcolici in bottiglia. Il tanfo della spazzatura.

Sensazione: il tarlo continuo che forse, dentro di noi, c’è un angolino marcio che un giorno potrebbe corrompere tutto il nostro interno, mangiandoci da dentro, ed è più importante questo piccolo tarlo di tutto ciò che succede all’esterno, delle guerre, dei complotti, delle armi di distruzione di massa.

Sapore: la bocca asciutta, secca ed amara dopo una canna.

Citazione: “Questo perché è più facile mettere a posto qualcosa se la si può vedere”. 

Recensione – La Canzone di Achille

* ωαττπαδ *

Da quanto non scrivo qualche minchiata qua sopra.
Gli anni sono passati mentre lo Stomaco sprofondava in qualcosa di simile ad una melma fangosa, anche abbastanza vischiosa, piatta e inodore. Trasparente.
Avete presente quando Neo tocca lo specchio e il liquido che ne esce si arrampica fino alla sua bocca e da lì al suo orifizio nasale, e gli riempie gola laringe trachea polmoni tutto? Fino a formare un calco di Keanu Reeves, ma da dentro.

Ecco, così. Solo con una melma piatta deprimente.

Gli anni sono passati, avrò distrutto Matrix non lo so, ma questa melma si è un po’ ritirata. Stomaco è tornato a cibarsi di libri, una benedizione. Qualcosa che non ti fa pensare alla melma esterna, che potrebbe tornare ed inondarti di nuovo.

E quindi ecco qui, con una nuovissima recensione di cui non fregava un cazzo a nessuno del primo libro del 2022, comprato da me in libreria con un minimo ritardo di dieci anni dalla pubblicazione, ma che vuoi che sia. Con tutti i ritardi che accumulo.

Ecco a voi l’inutile ed assolutamente non richiesta recensione de “La Canzone di Achille”, di Madeline Miller.

Che cosa è?

Temi: come ho risposto a Madre quando mi ha chiesto di cosa parlasse, “prova a indovinare”. Di cosa parlerà mai? Di Achille. Di Patroclo, anche. Di Achille e di Patroclo, di Patroclo e di Achille. Di loro due. Ambedue gli eroi. Che si amano, se non fosse ancora chiaro. Del rapporto fra loro due che si amano. Dell’amore omosessuale fra i due eroi greci, Mirmidoni per l’esattezza, di cui uno principe. Kuzco e il suo veleno.

Genere: si può definire questo genere… Storico? Mitologico? Uno spinoff?

Lo so: non devo essere maligna. E non confondete la mia per omofobia: no, è solo invidia. Invidia per una autrice che basically ha scritto una fanfic sull’Iliade e ci ha fatto un mucchio di soldi.

“Ma lei è una storica letterata informatissima su –’’
Andiamo. Chi vogliamo prendere in giro. Qualsiasi persona sana di mente che scrive fanfiction è espertissima sull’argomento. Volete che gli autori di Wattpad alla sezione My Hero Academia, per esempio, non abbiano visto gran parte delle puntate dell’anime o letto capitoli su capitoli per carpire un accenno, una prova, un indizio che facesse cadere la bilancia a favore della loro ship preferita? Anche loro sono superesperti. Credetemi.

Madeline, Madeline. Hai proprio il nome di autrice di fanfic. Non odiarmi, ti prego: ti tiro per il culo perché sei riuscita a trionfare dove noi abbiamo fallito. Se avessimo indirizzato i nostri studi ed il nostro tempo alla Storia greca e non a, che ne so, Naruto o Fallout, madonna quante ore ci abbiamo speso, ecco che avremmo avuto l’idea geniale. La trovata. Sai che orgoglio se le nostre storie finissero in libreria, diventando pietre miliari della letteratura, sai che ribalta per noi sfigati? Titoli come “Ninja Love: a NaruHina story” diventerebbero i nuovi romanzi alla ‘paradiso della pomiciata’.

Pubblico: beh, tutti. Omofobi a parte. Ma, come è ovvio che sia, non mi sento di consigliare proprio nulla ad un omofobo, se non di chiudere sta pagina e andare a procurarsi una piacevole fistola ano-retto-vaginale / ano-retto-peritoneale. A scelta, in base alle possibilità.

Avvertimenti: se conoscete la Storia, e lo prendete come un’occasione per imparare qualcosa di nuovo, ne rimarrete delusi. Mi spiace.

Non fraintendete: apprezzo quello che ha tentato di fare, ci mancherebbe. Molto meglio un libro semplificato riassuntivo della vita di Achille e Patroclo che un opuscolo sui rettiliani che ci monitorano con il 5G. È che… Mi ha lasciata un po’ delusa. La prefazione parte con una sua autocelebrativa descrizione degli studi letterari universitari dell’autrice. Lettere antiche, sa il Greco, la sua tesi di laurea doveva proprio essere un’Epifania delle scoperte che, da brava ricercatrice, ha accumulato e organizzato in un’arringa verso la coppia omosessuale più famosa dell’antichità.
Quello che ho trovato fra le mani, invece, era… Beh…

Le questioni pratiche – ovvero: le domande scomode

Livello di impegno: ★★☆☆☆. Tipico romanzo…. Basta, non lo dico più. Un romanzo rosa, né più né meno. Se avete tradotto anche solo una versione al liceo lo troverete di una facilità disarmante.

Tempo: ★☆☆☆☆. circa due giorni di lettura. Se proprio ci si impegna a fare altro fra un capitolo e l’altro.

Difficoltà del linguaggio: ★★☆☆☆. Madeline, sei come l’Alberto Manzi della letteratura: indottrini facilmente le masse. Siamo come i cagnolini che si nutrono delle briciole che cadono dalla tavola dei padroni, sei come Dante Alighieri che raccoglie le nozioni dei Grandi Illustri Letterati e le ficca nel Convivio per renderle accessibili a noi.
Sei un grande matroneo di una chiesa gotica, ricco di affreschi che indottrinano il popolino analfabeta. Dai che ce la possiamo fare, dai che possiamo imparare qualcosa anche noi mezzi scemi.

Scrivi una parola in greco, con i caratteri romani, e la traduci anche. Nel dialogo diretto. Che carina che sei.
“Odisseo polutropos (sic), cioè dai molti ingegni!” Grazie Patroclo, che top che ci parli in greco e traduci direttamente per tutti i tuoi lettori presenti! Sia mai che al lettore attento passi per l’anticamera del cervello di chiudere sonoramente il libro, POF, una nuvola di polvere, se vedesse scritto πολύτροπος, caratteri greci tondeggianti ed eleganti, magari con una piccola nota a piè di pagina! No, il greco sa di vecchio, poi come si fa con la tipografa della stampa a caratteri mobili che non ha ancora acquistato il pacchetto greco base, un casino. Ci mancherebbe.

Divertimento: ★★★☆☆. Beh, è coinvolgente. Tiene incollato il lettore alle pagine, sicuramente. Sai la storia, sai come va a finire, e leggi febbrilmente aspettando di raggiungere i punti che conosci. Un po’ quando ti capita fra le mani la videocassetta di Biancaneve: la conosci, sai come va a finire, ma la guardi volentieri un’altra volta aspettando passo dopo passo i punti fissi che ti piacciono di più, la canzone dei nani, la matrigna che si volta e ci spaventa da quanto è brutta. Stessa cosa.

Ansia e disagio: ★★★☆☆. Per chi non ha letto l’Iliade; per chi non l’ha studiata a scuola; per chi non aveva da piccolo i libretti della Dami Editore, molto dettagliati ed eleganti; per chi non ha visto il film “Troy”: ecco, per tutte queste persone (tre) che rimangono, può essere un po’ disagiante nel finale.

Difetti: ★★★☆☆. Aspettavo proprio questa voce, i difetti.

Quando leggo un libro, è indispensabile che torni a casa con il mio piccolo bagaglio culturale arricchito rispetto a quando dovevo ancora aprirlo. Qualcosa deve depositarsi dentro di me, qualcosa in più. Se tutto rimane come prima, come posso dire di aver veramente letto qualcosa?

Si leggono un sacco di cose, durante il giorno. Le etichette dello shampoo mentre si defeca, per esempio. Le istruzioni delle minestre istantanee.
Ma leggere un libro dovrebbe essere qualcosa di differente, altrimenti perché impegnarsi? Dovrebbe ripagarci del tempo speso a leggerlo.
Lo so che sto pretendendo troppo. Ho letto un sacco di libri leggeri, simpatici, deprimenti e vuoti. Eppure, anche con il loro vuoto, qualcosa mi lasciavano; forse anche grazie al fatto che non avevo queste aspettative.
Mi aspettavo di imparare. Un sacco, fra l’altro. Mi aspettavo che la mia ὕβρις da fighetta che ha fatto il classico venisse placata, smorzata, avvilita da ciò che avrei potuto imparare leggendo. E invece non ho imparato proprio un cazzo.

Achille e Patroclo si amavano. Ok, citazioni? Documenti? Dove lo hai letto?
Sicuramente fra loro c’era un rapporto di cameratismo molto elevato, sicuramente avranno diviso il letto, sicuramente si saranno scopati, va bene, lo concedo, ma in base a cosa me lo dici? Come posso approfondire?
C’è una bibliografia? Delle note a piè di pagina? Qualcosa che mi aiuti a credere che ciò che stai scrivendo non è solo frutto della tua fantasia?

Leggerlo ti lascia con la stessa amarezza di quando finisci una fanfiction out of character: che, una volta chiuso il libro, tutto torni alla normalità, e il vero autore faccia sposare il protagonista con la solita fichetta moscia che ti sta sul cazzo dal primo capitolo, e che di tutto ciò non rimanga altro che un triste bel ricordo.

Le emozioni che trasmette

Un personaggio fico: sono di parte. Sono sempre stata pro Grecia, pro Achei, pro Atena, e ovviamente il mio preferito non poteva essere che Odisseo. Πολύτροπος, per l’appunto.
Odisseo è esattamente come vi aspettate che sia: tagliente, sagace, fico. Un vero uomo in mezzo ad un sacco di ragazzini riottosi. Lui è il vero eroe, in fondo.

Personaggi da odiare: il contrario dell’amore è l’indifferenza, giusto? Beh, in questo caso mi sento di citare due personaggi che ti lasciano totalmente indifferente: Achille e Patroclo.
Perfetto l’uno, sfigato l’altro, sono il paradigma della coppia friends to lovers.

Achille non viene minimamente approfondito nella sua psicologia e nei suoi ideali, se non nel dilemma interiore “diventerò un eroe? O non voglio diventarlo?”. Al di là di ciò, ha lo stesso spessore di un personaggio di uno yaoi nei momenti in cui non scopa: zero. Si tromba una principessa due volte e la ingravida pure, sebbene sia innamoratissimo di Patroclo, e glielo confessa così, come se gli dicesse “ups amore ho scoreggiato sotto le coperte”. E ovviamente Patroclo lo perdona, ci mancherebbe, ma nemmeno si arrabbia o si dispiace; tanto è uno sfigato tale che già poter toccare la notte le pudenda di Achille è per lui un dono talmente ineffabile che è disposto a sopportare qualsiasi cosa.

Il padre di Achille, dal canto suo, se ne frega un cazzo. Ha concepito il figlio stuprando una dea, ma è un padre così amorevole che gli si perdona tutto. Non ha il minimo interesse nel coming out del figlio. Sono gli altri principi Achei a dirgli “Atreo guarda che tuo figlio è omosessuale”, ma lui patato è un po’ così (l’età) e risponde con un “ah quindi non mangia carne?” Amorevole.

L’omosessualità, nell’Antica Grecia, era socialmente accettata solamente con una buona differenza d’età fra un amante e l’altro. Certo, vi erano casi fra adulti che venivano comunque tollerati, ma darlo così per scontato mi sembra un attimo fuori luogo. Mi avrebbe interessato leggere dei problemi, della società, delle difficoltà incontrate dagli amanti – stiamo parlando di un’autrice accademica, vero? Ce ne ricordiamo?

Detto ciò, non voglio essere troppo dura. Il libro è bello, poetico, scorrevole. Le immagini e le figure che ci regala ci fanno sognare di essere al mare su una bella isoletta Greca, noi, una feta e basta.

Colore: blu durante l’incontro con Achille; verde durante la giovinezza con Chirone; giallo durante la guerra.

Canzone: le note della lira della madre di Patroclo suonata egregiamente dal perfetto Achille.

Rumore: il sibilo delle lance e il vociare della battaglia che rimbombano dentro le orecchie e negli elmi, e che soffocano e coprono la risacca delle onde poco lontane.

Odore: il sudore salato e pulito dei giovani atleti.

Sensazione: la brezza marina che accarezza il palazzo di Atreo, la notte, che fa presagire l’arrivo di Teti.

Sapore: l’amaro in bocca.

Citazione: E dopotutto forse il dolore più grande è quello di chi viene lasciato da solo sulla terra. Non credi?

IL CRIMINE CHE SALE – Sei una bella ragazza, perché non…?

Numerosi sono gli atteggiamenti delle persone che si sono trasformati nei secoli in piaghe sociali. Questo perché, di norma, l’intelligenza umana non si evolve insieme alla società – anzi, è il caso di dire che si involva con il crescere di quella che l’illusione chiama società civile.

Per entrare più nel concreto, che so già che in due righe vi ho tediato i maroni, l’atteggiamento che mi affligge e di cui vi volevo parlare è quell’odioso figlio illegittimo di genitore1 “Ho tanti amici gay” e di genitore2 “Non sono razzista ma“:
Sei così una bella ragazza, perché non…?

 

QUESTO ACCOLLO NELLA STORIA

Questa frase indecente ha radici molto, molto profonde e ben radicate. Infatti, mentre la frase sul razzismo nell’antichità veniva bellamente inutilizzata (nessuno avrebbe dovuto mai ricorrere al falso buonismo per ammettere senza problemi la sua ostilità), e quella sull’omosessualità è probabilmente nata in epoca appena più tarda (“Cesare era marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti“), questa è sempre stata un evergreen indiscusso.

“Penelope, sei così una bella donna, cosa ti salta in mente di non farti un Procio?”
“Antigone dai sei una bella ragazza, smettila di parlare di politica che non capisci niente, pensa a sposare mio figlio piuttosto”
“Daje Giovanna d’Arco, vestiti un po’ meglio che sembri ‘n omo co’ sta armatura, guarda che se si na cessa rischi de morì bruciata”
“Artemisia cosa dipingi a fare? Sei una donna, hai le tette, hai un bel sedere, perché non pensi a sposarti? Vuoi finire zitella?”
“Lucia, che ti vuoi mettere con quel burino di Renzo? Guarda come sei bella, vieni con me nel mio castello! Oh cugino giuro che se non me la scopo che la peste mi colga”

Dall’alba dei tempi, essere una bella ragazza è stata vista effettivamente come una limitazione. C’è chi pensa che la bellezza apra tutte le porte, e per un certo senso può essere anche vero, ma deve essere accompagnata da una volontà da parte della donna di usarla come arma a suo vantaggio. Se ad un colloquio di lavoro non si cede alle avances, se ci si dimostra morigerate e si rifiuta cortesemente il capo (perché mai essere maleducate eh), se non ci si fa offrire da bere in discoteca perché “non me ne frega nulla di te”, automaticamente i privilegi vengono meno. Certo, qualcuno potrà essere più gentile nei nostri confronti e lasciarci passare davanti all’uscita della metro per guardarci il culo, ma sono cortesie che non penso pesino molto sulla qualità della vita (nota bene: se mettete un cappotto lungo, nessuno ci cederà più la precedenza. Provare per credere).

La gente è più bendisposta con te se sei bella” è una frase che va contestualizzata. Gente? Che gente? Se per gente intendiamo qualcuno che è gentile solo con le persone di bell’aspetto, scusate tanto ma preferisco non averci molto a che fare, e della loro falsa cortesia non me ne faccio nulla.

Diverso può essere il discorso sulla facilità a trovare una relazione. Vero, solitamente il primo acchito è abbastanza determinante ed essere belle è un vantaggio non da poco, ma ci si trova poi costrette a scremare una grossa fetta di persone che ci provano con noi solo per il nostro bell’aspetto… E capirlo dopo, oltre che difficile, può essere anche doloroso. E’ un vantaggio all’inizio, ma un grosso lavoro in seguito.

 

L’OMINO SENTENZIOSO

Fatte queste premesse, le belle ragazze si troveranno quotidianamente di fronte alle fatidiche sentenze della gente che bella non è, o magari lo è ma non ci crede, o magari lo è, ci crede ma è invidiosa perché pensa a torto che l’altro sia più bello di lui.

Oh persone, perché siete sentenziose?
Quale problema tedia la vostra vita al punto da renderla incredibilmente noiosa e dovervi far ricorrere ad espedienti quali “diamo consigli sterili non richiesti a gente a caso?”
Chi ha mai chiesto i vostri commenti? Chi ne ha mai fatto buon uso, chi li ha mai messi in pratica?

Oh persone, ve lo dico io: NESSUNO. Pensate a me, già non seguo i consigli che chiedo io, figuriamoci i vostri!
Dirmi “Sei così una bella ragazza, perché ti fai i piercing?” sicuramente non mi farà né strappare quelli che ho già, né mi frenerà dal farne uno alla lingua. Nè, soprattutto, mi farà mettere in dubbio la mia bellezza.
Per voi sono meglio senza? E’ un vero peccato, perché la mia motivazione di vita effettivamente era farvi tirare il cazzo, quindi ora che so di non essere la vostra donna ideale penso che mi appenderò ad una trave.

Avete idea di quante volte una ragazza musulmana si sentirà dire “Certo che ste qua col velo, magari sono belle ragazze, ma chi può dirlo coperte così?
Loro hanno anche un motivo serio per vestirsi come diamine le pare, quindi esattamente come pensate di essere cortesi? Educati? Delicati?

Forse però, a livello ancora più infimo, coloro che finiranno nel settimo girone infernale sono quelli che fanno commenti sul peso. “Sei così carina, perché non prendi quei tre-quattro chili in più / in meno?
Mi risulta abbastanza difficile credere che la gente abbia una calcolatrice in testa in grado di calcolare a mente l’IBM di una persona completo di percentuale di massa grassa solo guardandola. Almeno, non può essere la stessa gente che alla cassa del supermercato fatica a darti il resto.
Detto ciò, questi Will Hunting dei chili di troppo dovrebbero gentilmente spiegarmi come pensano di avere un potere così alto sulle persone da convincerle a modificare la propria dieta a partire da un commentum ad minchiam cazzi. Dovrei prendere due chili? Perché? Per farti sentire meno grassa?  Per farti dormire la notte? Ti disturbano, per caso, le mie clavicole? Ti provocano disagio le mie creste iliache?

Posso capire un commento fatto da un amico, da qualcuno di cui ci fidiamo e che sappiamo vuole solo il nostro bene. Ma, ragazzi, ve lo dico: la gente a caso non vuole il nostro bene. La gente a caso parla per tenere in allenamento la mandibola nel caso incontrasse un Tom Hardy selvatico desideroso di una notte di sesso orale.

 

LA LEGGE MORALE DENTRO DI ME

Essere delle belle ragazze non è solo una qualità esteriore, ma un vero e proprio dovere civico. Quando si è belle si è moralmente tenute ad assumersi le proprie responsabilità e a comportarsi di conseguenza.
Bisogna essere gentili e cortesi, perché “è un peccato che una così bella ragazza sia maleducata”. Pronto?! Torniamo al concetto medievale di brutto = mostro cattivo e bello = cavaliere delle chanson de geste?

Ma cosa le è saltato in mente di mettersi con quel delinquente, una così bella ragazza, guarda dove la ha trascinata” Ma una persona sarà libera o no di scegliere da che parte della Forza stare? Vi ricordo che Galadriel era bella e terribile, come l’Alba!

e tutti mi ameran

E tutti mi ameranno, disperandosi.

E’ una così bella ragazza, perché sta con quel cesso?
Ecco, questa penso sia la condicio sine qua non dell’esistenza stessa della bellezza. Ogni persona, evidentemente, è dotata di un Bellezzometro a tacche, campionato in valori discreti da 0 a 10, dove 0 sta per “cesso a pedali inchiavabile” e 10 per “Margot Robbie”. Legge vuole che il tasso di differenza nella coppia non possa superare le due tacche di Bellezzometro, o l’Opinione Pubblica potrebbe cadere in grave crisi.
MA COME FA A STARE CON QUELLO LA’?!” E così l’invidia, la rabbia, la bile, il pancreas cominciano a lavorare ininterrottamente per cercare di colmare quelle tacche di differenza con scuse quali “è una troia”, “lui è ricco”, “è una puttana”, “lui è pieno di soldi”, “ ah zoccolaaa”, “quante Porsche c’ha quello lì?” ed altre mille varie e fantasiose variazioni sul tema.

Inutile tentare invano di concentrarsi su ciò che si ha: l’erba del vicino è sempre più verde, come diceva Van Gogh quando tornava ad Amsterdam, e l’importante non è migliorarsi ma sminuire quello che hanno gli altri.

Altra accoppiata che poi manda in crisi la gente male è il magico binomio Bellezza – Introversione. Questa dicotomia si è sviluppata in epoca molto tarda; ci basti pensare alla morigeratezza delle Donne Angelo stilnoviste, alla timidezza di Silvia, alla figalegnaggine di Lucia. Ultimamente, invece, una bella ragazza DEVE essere socievole, estroversa, sono il re della serata lo si vede dall’entrata. I complimenti devono far piacere, essere al centro dell’attenzione un motivo di vanto. Poco importa se in quel momento ti vorresti sotterrare.

E, mi raccomando, mettiti qualcosa di carino che sennò non ti valorizzi.

 

Probabilmente penserete che non sono questi i problemi, che ci sono veramente altri argomenti di cui parlare. La situazione delle balene nel Bengala, ad esempio. La rinite negli elefanti. Se l’albinismo negli orsi polari si manifesti con chiazze nere.

Il punto è: perché invece non partire dalle piccole cose facilmente risolvibili? Cose che per essere debellate necessitano di pochi consigli, semplici e immediati. E vi dico anche come, ve lo dico da amico…

antonio-razzi

 

Le Grandi Bugie dell’Universo

Secondo Aristotele, l’uomo è uno ζῷον πολιτικὸν, un “animale sociale”.
Secondo me, l’uomo è invece un animale bugiardo.
Ecco, di seguito, le piccole grandi bugie che dico perennemente, così insite in me da essere ormai diventate lo standard.
Buona lettura.

 

Non ho fame
Ho sempre fame. Anche in sala operatoria. Anche con la puzza di letame di sottofondo. È normale? Siete cosí anche voi umani? Di solito lo diciamo per sentirci rispondere uuhh io sí, sto morendo di fame invece!

Sono a dieta
Ti prego dimmi che non ne ho bisogno, che sono magrissima e che anzi dovrei mangiare quei sei bufali in più per tornare al limite del sottopeso accettabile. Ti prego.

Ti giuro che non so come ci sia finita quella canzone sul mio iPod
Lo so io come ci è finita. Scaricata dal mulo e trascinata su iTunes. Non ti vergognare, Stomaco. È normale che tu abbia voglia di risentire a volte quel ritmo anni ’80 che ti fa sentire l’imperatore della dance music.

Mamma stai serena, andiamo ad un concerto tranquillo
Niente pogo, ci sono i posti a sedere ma soprattutto nessuno si drogherá. Fidati.

Mamma ste sigarette non sono mie le sto tenendo a un amico
Che era con me ad un concerto

Buongiorno signor poliziotto che mi ferma alle tre di mattina e mi fa l’alcooltest
Buongiorno a lei e buonanotte a sua madre, che ha appena staccato dal turno in tangenziale

Che bello il tuo bambino
Spero che tu senta la nota di sarcasmo perché in caso contrario te lo dico in faccia: il tuo bambino è BRUTTO. Tutti i bambini piccoli sono brutti. Dopotutto vorrei vedere te, ad uscire da una vagina di testa e sembrare rilassata.
E comunque no, non voglio tenerlo in braccio, mi fa schifo e mi provoca ribrezzo. Vattene ora.

Mi spiace proprio di non poter venire al tuo matrimonio
Porco demonio che dispiacere enorme guarda risparmiare 300 euro!

Ma sei dimagrita?!
Ti prego smettila con la dieta che poi diventi più magra di me, mangia, ingozzati, lo vuoi questo panino col lampredotto?

Boh, non so, non ho mai esagerato con l’alcool a dire il vero
Oh vi ricordate quella volta che tra una vomitata e l’altra chiedevo alle nutrie consigli su come soppalcare una terrazza?

Ma no mamma, avrò preso freddo
Avró preso freddo mentre vomitavo a lato della strada in piena notte nel fosso perchè ero ubriaca marcia

Dalla prossima verifica studio volta per volta
Che brutto mentire a se stessi

Oh, che coincidenza, anche io adoro quel fantastico gruppo indie che hai appena nominato
Brutto indie del cazzo, sei solo un poser di merda e sono sicura che ti sei preparato dei nomi inascoltabili solo per darmi merda! Non potevi ascoltare che so, i Metallica, che almeno se mi interroghi due cazzatine me le ricordo?

Quel taglio ti sta benissimo cara
Vai cosí, che cessa cosí cagano tutti me

Ah boh, non ho mai visto un porno in via mia
Intendo un film porno intero di tre ore e mezza, in piedi su una gamba sola cantando l’inno americano

Mi aspettavo l’Inquisizione Spagnola
Nessuno si aspetta l’Inquisizione Spagnola

Ma certo che ho voglia di vedere le foto del tuo viaggio in Calafrica Amazzonica
Vi prego uccidetemi

Le ragazze fanno la cacca
Ma cosa vi fumate!? Siete scemi?! Noi defechiamo arcobaleni, esattamente come gli unicorni

Come va?
Nessuno – e ripeto, NESSUNO – chiede “come va” con l’intenzione reale di volerlo sapere. Vogliono sono la risposta standard “bene tu?” e fine del discorso. Guai a te se mi attacchi pippe su cosa va male nella tua vita di merda

Certo che sono soddisfatta della mia vita
Non direi. Se Stomaco undicenne incontrasse Stomaco ventottenne sarebbe molto amareggiata. “Dove sarebbe il mio pitone albino da compagnia? Perché non sei fidanzata con Sid Vicious? Ma soprattutto che ci fai qui? Perché non sei in uno scavo ad estrarre fossili di dinosauro…?”

Ho un vastissimo repertorio di formule di chiusura per un blog
Dannazione, non so mai come finire un artic

Pizzata trash: Turbo Kid

Una sera, il mio ragazzo ed io ci stavamo chiedendo quali fossero le origini della cultura moderna, ossia: cosa – o chi – ha ispirato ciò che vediamo adesso? Cosa ha dato inizio alla vita, all’universo e a tutto quanto?
Chiaramente stavamo prendendo egoisticamente in considerazione solo le cose che piacciono a noi: non ci chiedevamo certo l’origine di Barbie Magico Trucco o di Fabio Volo – quello proprio non solleticava il nostro interesse in quella buia sera di alcool e sushi. No, noi parlavamo di cose come Matrix (ok, quella ha origine in Platone ed è una cosa un po’ a parte), Ken il Guerriero, Borderlands, Star Wars, la fantascienza in generale, il postapocalittico, il futuro distopico… Cose che chiaramente non possono essere attribuite alla Vecchia Trinità – che, per vostra informazione, è Leonardo – Michelangelo – Raffaello. Consci di questo impellente bisogno, da “il Re è morto – evviva il Re”, abbiamo creato una nuova Triade:

Dune, Mad Max, 1984.

Queste tre opere sono un po’ come la Santissima Trinità: Dune è il Padre, Mad Max il Figlio e 1984 lo Spirito Santo.
Ecco, dopo questo piccolo sprazzo di pesante blasfemia, se avrete ancora voglia di leggere vi volevo raccontare di Turbo Kid.

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Tronurbo Kid

Turbo Kid è un film canado-francese del 2015.
E’ una di quelle opere che discendono chiaramente da Mad Max, cioè il postapocalittico da disastro ambientale che, in questo caso, è dovuto dalle piogge acide. In soldoni, zero tecnologia, ritorno alle origini ed ai pezzi di ricambio.
Fra tutti i tipi di universo distopico, forse è quello che mi piace di più; il mio ragazzo ed io avevamo fatto pure un cosplay di Mad Max, ma giusto per il divertimento di raccattare scarti di officina per creare armature e cose molto fiche. Era, dopotutto, il gioco preferito di quando eravamo bambini, noi figli di collezionisti seriali con la sindrome dell’accumulo.
Insomma, Turbo Kid sembrerebbe a tutti gli effetti non solo il discendente, ma quasi la copia, soprattutto come trama, del film di Miller: un cattivone monopolizza l’acqua, i buoni vogliono riprenderla, e c’è un eroe solitario e molto sfortunato che quasi si ammazza per difendere la comunità.
Ma allora, direte voi, che lo guardiamo a fare se c’è già qualcosa di uguale e molto, molto superiore?
Ecco, di seguito vi elencherò i motivi per cui dovete assolutamente guardarlo, stronzi.

 

IL BUDGET

Il problema di Turbo Kid è il budget. E non sto parlando del budget in comparazione con Mad Max – Fury Road, un film che ha Megan Gale come comparsa e la figlia di Lenny Kravitz come caricafucile, no: un budget bassissimo in generale.
E forse questa è stata la sua fortuna, perché è proprio questa poveranza che avanza a renderlo incredibilmente epico.
Le automobili modificate? Troppo care. Avete idea di quanto costi la benzina adesso? No, no: molto meglio far girare la gente in bicicletta.
I cattivoni, gli eroi, TUTTI girano con delle biciclette. Magari con sidecar.

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E per le armi? Che ne dite di un fucile a canne mozze infilato nello stivale? Il cecchino che Furiosa riesce a reggere con una mano?
Eh certo, e chi siamo, la NATO?! Ma soprattutto, in un periodo di disastro nucleare chi diavolo fabbrica le munizioni?
Le armi da fuoco sono sorpassate. Si dia inizio al ritorno delle armi bianche, quali coltelli, martelli rotanti e GnomoBastoni.

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GnomoBastoni.

 

I PERSONAGGI

Provate a pensare ad una cosa: siete nel garage della vostra casa con un bel po’ di telecamere professionali e volete provare a girare un film. Cosa, assolutamente, non può mancare?
L’ingrediente numero uno della ricetta sono sicuramente gli zombie, per due motivi: uno, rendono fichi ed epici i protagonisti – o almeno, i protagonosti si sentono fichi ed epici quando tentano (a volte invano) di ammazzarli. Due, gli zombie hanno l’innato potere di far passare in secondo piano la totale incapacità recitativa dei protagonisti, sia perché sono meno espressivi di loro – seppur di poco, a volte – sia perché lo spettatore tende a concentrarsi sulla battaglia più che sulle battute.

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Ogni riferimento a film realmente esistenti è puramente casuale.

Dunque, in questo film non ci sono zombie. Perché?
Di sicuro non perché i registi non volessero, tutti vogliono gli zombie. Non ci sono semplicemente perché non ce n’era bisogno.
Gli attori sono davvero, davvero, davvero bravissimi. La loro capacità recitativa è talmente elevata per un film di serie B che non si ha la minima voglia di venire disturbati da dei mostriciattoli che arrancano. Vogliamo guardarli sempre.

Turbo Kid è il protagonista, un ragazzino che si sente sempre un po’ fuori luogo, appassionato di fumetti, colleziona action figures e spaventato a morte dalle ragazze – un classico nerd, insomma. E’ seguito da Apple, un robot che una volta ha pulito le giunture con la noradrenalina e da quel momento non si è più ripresa. Ama il rosa e l’azzurro, non in quest’ordine, e gli unicorni.

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Frederic, invece, è una fusione fra Max Rockatansky e Walker Texas Ranger.
Inoltre, nello schieramento dei cattivi non mancano il brutto un po’ deforme, il cattivo con la maschera, i pazzoidi e la tipa cazzuta con la cresta che farebbe invidia pure a Tina Turner in cotta di maglia.

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La loro epicità e la loro violenza sono condite da quel pizzico di nonsense – nel caso di Apple – e di comicità velata – nel caso di Frederic – che rendono ancora più godibile il tutto alleggerendo l’atmosfera.

 

LO SPLATTER

In realtà c’è anche un altro motivo per cui registi e sceneggiatori tendono ad inglobare gli zombie nei loro film, ed è che quei simpatici non morti rendono etico e moralmente accettabile il nostro bisogno di violenza.
Oh, qui non ce n’è assolutamente bisogno.
Le leggi del buon gusto? Stronzate sorpassate. Qui è lo splatter che regna sovrano.
Amputazioni con seghe circolari, martellate, trituratutto NicerDicerPlus, arrotolabudella, incornate di unicorno: tutto è possibile e tutto viene fatto vedere. Godi del macello, spettatore, che è talmente splatter da essere delizioso.

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Nessuno viene risparmiato da questo vero e proprio bagno di sangue, nemmeno il primo bacio fra i protagonisti.

 

LA CULTURA POP

Non è facile aggiungere la cultura pop ad una ricetta ed evitare che l’intero piatto sappia solo di quello. Prendiamo come esempio Pixels, una cavolata senza trama che reggeva solo grazie ai riferimenti ai videogames. Prendiamo Ready Player One, che per quanto sia bello e godibile, senza il gioco del “contiamo quanti videogames riconosciamo durante il film” farebbe fatica a tenere incollato lo spettatore.
Eppure, è bastato un cuoco di serie B per rendere questo possibile.
Non che i riferimenti alla cultura pop siano velati qui, anzi, si sprecano già a partire dalla copertina.
Le macchine fotografiche souvenir, i fumetti stile Marvel, i braccialetti rigidi a schiocco, le biciclette modificabili… Anche l’indicatore di salute di Apple e l’arma di Turbo Kid sono deliziosamente retrò.

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Eppure, tutte queste chicche non fanno altro che rendere il tutto più appetitoso, senza guastarne la vera natura – ossia, il postapocalittico. Un po’ come Fallout con gli anni ’50, insomma.

 

LA FOTOGRAFIA E GLI EFFETTI SPECIALI

Questo film è una caramella per gli occhi. I colori improbabili e sgargianti che cozzano con la desolazione generale, le armature dei cattivi un po’ football e un po’ punk, le armi improbabilmente geniali e, soprattutto, gli effetti speciali lasciano lo spettatore completamente senza parole.
Come è possibile che un B movie sia fatto così bene? Qual è il vostro segreto? Perché siete così bravi?

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Vi lascio con queste domande in sospeso: guardatelo anche voi, e rispondetemi, se ne sarete capaci. Intanto vi sarete goduti un’ottima chicca.

 

PIZZA CONSIGLIATA

Una pizza dai gusti improbabili, che dal principio vi fa storcere il naso, ma una volta assaggiatala vi lascia senza parole.
Una pera e gorgo, ad esempio.

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IL CRIMINE CHE SALE – Alle donne piacciono gli stronzi

C’è una domanda che tutte noi ci siamo sentite rivolgere almeno sedicimila volte nella vita- no, scusate: ci sono due domande che tutte noi ci siamo sentite rivolgere almeno sedicimila volte nella vita. Una è: “sei nervosa? Ma hai il ciclo?” e l’altra, quella su cui vorrei focalizzare la mia attenzione, è:

“Ma perché a voi donne piacciono solo gli stronzi?”

 

Dato che rispondere a questa domanda mi crea solitamente un tantino di acidità di Stomaco, tento sempre di tergiversare. Infatti, se proprio volessimo lasciarci andare ad una piccola analisi semantica, la frase in sé non è propriamente corretta.
Innanzi tutto, non a tutte le donne piacciono gli uomini. C’è una cospicua fetta di esseri di sesso femminile particolarmente fortunati che con gli uomini non c’hanno mai avuto a che fare e non vorranno averci a che fare mai, leggi lesbiche, suore, persone anaffettive, gattare incallite… Gente che, in pratica, della vita ha capito quasi tutto.

Inoltre, non mi pare proprio che a tutte le donne piacciano gli stronzi. Ad esempio, Gandhi era sposato. Gesù aveva la sua schiera di ammiratrici – o almeno, così ricordo. Pure i patriarchi biblici erano ammogliati, anche se effettivamente qualcuno stronzetto lo era (vi ricordo che uno ha tentato di ammazzare il figlio su una pietra perché “una voce glielo aveva detto”, nzomma dai, fatte na camomilla).

Per di più, mi sembra che il giudizio maschile su chi è stronzo e chi no possa essere influenzato dal fatto che “se le piace quello là, per forza è stronzo perché mi ha rubato la tipa”. Quindi magari – e dico, magari – è giusto una vostra opinione. Citando Tolstoj, che di amore ne sapeva più di tutti noi elevati a potenza,

“Aleksèj Aleksàndrovic’ offendeva particolarmente Vrònskij. Egli riconosceva solo a se stesso il diritto indubitabile di amarla. No, ella non lo ama e non può amarlo”.

 

Detto questo,
Sì. A noi donne piacciono gli stronzi.

Già, ma come mai?
Fermarsi un attimo e riflettere su sta cosa non è semplice. Perché ci piacciono le persone cattive? Che fascino esercitano su di noi?
Perché preferiamo Loki a Thor? Il pirata al principe? VEGETA A GOKU???

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Vegeta, ma di che parliamo?

 

L’Essenza del Male

Innanzi tutto, senza il male il bene non esisterebbe. E’ l’essenza stessa della negatività che ci rende esistenti, tangibili, ci fa sentire reali e vivi. Considerandoci noi persone buone, automaticamente ci sentiamo complete con un alter ego stronzo al nostro fianco, cattivo, malvagio e scortese. Ci sentiamo parte del mondo. Citando Bulgakov,

“Sii tanto cortese da riflettere su questa domanda: che cosa sarebbe il tuo bene se non ci fosse il male, e come apparirebbe la terra se non ci fossero le ombre? Le ombre nascono dagli oggetti e dalle persone. Ci sono le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Non vorrai per caso sbucciare tutto il globo terrestre buttando via tutti gli alberi e tutto ciò che è vivo per godere nella tua fantasia della nuda luce? Sei uno sciocco”.

Oltretutto, chi è senza peccato alzi la mano, come diceva Gesù, o forse era Goku quando doveva sconfiggere Freezer. Beh, insomma, tutti abbiamo dei lati negativi, e avere al proprio fianco una persona che ne ha più di noi forse ci fa sentire meno merde. Forse.
Lo so, è come se una chiocciola stesse con un lumacotto senza guscio per farsi dire che è carina.
Io lo farei.

 

Il Fascino

Un uomo cattivo è più fascinoso? Forse. Non so, secondo me varia da persona a persona, ma proviamo ad analizzare qualche cattivo famoso: Darth Maul. Magneto. L’agente Smith. Dracula. il Joker (o Bane, vedete voi).
Cosa hanno in comune, a parte essere cattivi?
Niente.
Niente! Il buono è sempre caratterizzato sommariamente, un ragazzotto carino e simpatico, con i suoi problemi (probabilmente orfano), che ha ben chiari i propri valori e sa cosa deve fare: sconfiggere il male.
I malvagi, invece, sono sempre diversi, imprevedibili, eccitanti, tormentati, mai noiosi. Molte volte sono dei geni. Possono fallire, possono essere sconfitti. Quel filo di incertezza e precarietà che ci fa stare sulle spine e dona pepe e trasporto al rapporto.

Uno degli incipit più famosi del mondo,

“Quel ramo del lago di Como”,

…No, aspetta, forse era

“Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”

Ecco, dicevamo, l’incipit di Anna Karenina conferma questa teoria. La felicità assoluta è sempre uguale, falsa, statica, quasi finta. L’infelicità è ciò che ci rende vivi e ci fa stare in guardia.
Ci sentiamo prede e predatori, sempre sul filo del rasoio. Alla lunga stanca, ma rimane eccitante.

 

La maledetta Sindrome

Detto questo, nelle donne penso si instauri anche un meccanismo chiamato Fattore Sfida. Il Fattore Sfida è una mutazione genica del DNA che avviene durante la meiosi II, e precisamente comporta un difetto nel crossing over del cromosoma X. Se entrambi i gameti presentano questa mutazione, la donna nascitura soffrirà della cosidetta Sindrome DC, “Da Crocerossina“.
Nel caso invece i gameti non presentino la suddetta mutazione, la donna ne soffrirà ugualmente.
Il nome della mutazione deve la sua sigla da Dopo Cristo; difatti, in periodi quali l’Antica Roma o la Grecia Arcaica questa malattia ancora non si era sviluppata. “Torna col tuo scudo o su di esso“, sbuffava la moglie di Leonida, facendosi le unghie mentre lui partiva per la guerra.

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Gorgo. Grande donna.

Dal Medioevo in poi, quando i contadini smisero di andare in guerra e cominciarono a mandarci i cavalieri scapoli ed i ragazzini, le mogli si abituarono alla mollezza ed alla tranquillità del matrimonio e cominciarono a preoccuparsi per ogni stronzata. E’ per colpa loro se oggi il nostro fidanzato si lagna quando ha 37 di febbre.

Ora che la scienza ha fatto passi da gigante e non si muore più per un semplice raffreddore, noi donne abbiamo cominciato a preoccuparci degli altri mali che il nostro uomo può avere: i mali morali.
E così, noi soggetti sindromici Da Crocerossina facciamo a gara a beccarci i più disastrati sentimentalmente per Tentare di Cambiarli.
Santo cielo, vi giuro che mi sto schiaffeggiando da sola.
Inutile dire che Tentare di Cambiarli è la manifestazione più dannosa ed inutile della nostra malattia, ma non possiamo dire ad uno con la polmonite di smettere di tossire, no? Poverino, è malato. Non fa apposta.
Non odiateci. Ci hanno disegnate così.

What is love?

La prima cosa che mi salta in mente quando qualcuno mi chiede “What is love?” è ovviamente “baby don’t hurt me”. Il che, pensandoci bene, non è proprio carico di connotazioni positive. Partiamo subito disillusi, mettiamo le mani avanti, “frega niente what is love, basta che don’t hurt me, don’t hurt me, no more”. Perché, come ben sappiamo, “chi meno ama è più forte, si sa”.

Ma è davvero così che funziona? Non esisterà nessuno in grado di darci speranza? Una visione rosea?

Per risolvere questo quesito vecchio come il mondo, che si contende il primato con la nascita primogenita dell’uovo o della gallina, ho deciso di farmi aiutare dai classici della letteratura. Loro ne sanno sempre più di noi. Ho fatto una breve cernita della libreria e ho preso alcuni volumi, un po’ a caso, un po’ apposta.

 

L’amore secondo Orwell (1984)

Quando fai all’amore, spendi energia; e dopo ti senti felice e non te ne frega più di niente. Loro non possono tollerare che ci si senta in questo modo. Se sei felice e soddisfatto dentro di te, che te ne frega del Grande Fratello, e di tutto il resto di quelle loro porcate?

Secondo Orwell, l’amore è l’unica via d’uscita in un mondo di merda. Ma comunque tranquilli, è un’illusione! Come la felicità: dura quel che dura, poi si torna alla cruda realtà, e forse si sta peggio di prima, perché si è ormai consapevoli che quella che prima vedevamo come una salvezza è solo un’altra inutile bugia.

 

L’amore secondo Tolstoj (Anna Karenina)

Devi capire che per me dal giorno che ho cominciato ad amarti tutto s’è mutato. Per me c’è una cosa sola: è il tuo amore. Se adesso è mio, mi sento allora così in alto, così salda, che nulla per me può essere umiliante.”

Così dice Anna innamorata. Sembra fantastico, vero? L’amore che cancella la vita e tutto il resto, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. Ma lui, invece, si sente così:

Un tempo si considerava infelice, ma la felicità era nel futuro; ora invece sentiva che la felicità migliore era già nel passato.”

Di nuovo la caducità del presente. Sì, ok, tutti felici e contenti quando ci si aspetta qualcosa, ma quando si cade nella routine? Quando le piccole gelosie, la noia, la rabbia e i bisticci diventano all’ordine del giorno? Quando la gente smette di vedervi come la novità?
Bah. Meglio buttarsi sotto un treno.

 

L’amore secondo Giacomo Casanova (Memorie)

Il fuoco del desiderio assomiglia ad un fuoco di paglia: quando divampa, è già prossimo ad esaurirsi”.

Dai, se lo dice lui ci dobbiamo fidare. Riprendo ciò che ho scritto sopra.

 

L’amore secondo Giuseppe Berto (Anonimo Veneziano)

Beh, qui partiamo in svantaggio. Il libro – e così anche il film – parlano di un amore già finito. O meglio: di un matrimonio già finito. Ma l’amore, quello c’è ancora o no?

Il nostro matrimonio sarà anche andato male, ma credo che nessuno al mondo abbia mai fatto l’amore come noi. Nessuno“.
Sarà per questo che è andato male. Le cose troppo grandi non sono di questo mondo“.

Forse sì. Forse, nonostante l’odio trapeli dalle loro parole mentre si insultano per le calli di Venezia, qualcosa è rimasto. O forse niente si è mai spento. Ma come facciamo ad essere sicuri che sia amore, e non abitudine?

Anche qui si delinea bene la differenza fra “innamorarsi” e “amarsi”: ci si conosce, tutto rose e fiori, si fa l’amore tutti i giorni, si mangia fuori, ma quando ci si sposa, quanto si fanno la lavatrice e la spesa, ecco che quel qualcosa si rompe…

 

L’amore secondo Thomas Mann (La Montagna incantata)

“Per dirla schietta, il nostro viaggiatore era dunque pazzamente innamorato di Clavdia Chauchat. Il suo innamoramento non consisteva quindi in una gentile e sentimentale malinconia secondo lo spirito di quella canzonetta. Era invece una piuttosto arrischiata e disancorata varietà di questa malia, mista di gelo e calore, come lo stato di salute d’un febbricitante”

Lui la ama.

Lei rispose: “Oh, l’amour nest rein, s’il nest pas de la folie, une chose insensée, défendue et une aventure dans le mal. Autrement c’est une banalité agréable, bonne pour en faire de petites chansons paisibles dans les plaines.”

Lei no.

 

L’amore secondo Buzzati (Un Amore)

“Un segreto molto semplice: l’amore. Tutto ciò che ci affascina nel mondo inanimato, i boschi, le pianure, i fiumi, le montagne, i mari, le valli, le steppe, di più, di più, le città, i palazzi, le pietre, di più, il cielo, i tramonti, le tempeste, di più, la neve, la notte, le stelle, il vento, tutte queste cose, di per sé vuote e indifferenti, si caricano di significato umano perché, senza che noi lo sospettiamo, contengono un presentimento d’amore”.

La più bella dichiarazione d’amore mai scritta. Complimenti.

Peccato che non solo lei non sia innamorata di lui, ma faccia del suo meglio per sfruttare la sua debolezza. Continuamente. Crudelmente.

 

L’amore secondo David Herbert (L’amante di Lady Chatterley)

“Io credo” disse Lady Bennerley, con aria pensosa “che se l’amore scomparisse, qualcos’altro prenderebbe il suo posto. La morfina, forse.”

 

Lady Bennerley, sposami. Ora.

 

In sintesi, se uno volesse innamorarsi, al giorno d’oggi, cosa dovrebbe fare? Di sicuro non leggere. Prendi in mano un libro, che sicuramente ha più esperienza di te, ha vissuto settemila vite, è stato letto da migliaia di paia di occhi, e speri che ti doni un po’ di poesia… E invece no! Una bella mazzata fra capo e collo, e ti riporta alla dura realtà, con due belle palle di cemento attaccate alle caviglie. Insomma, siamo quindi tutti d’accordo che è meglio lasciar perdere? Farsi di morfina? Suicidarsi teatralmente sotto la neve? Comprarsi un cagnolino?

Però ci dovrà essere almeno qualcuno che non la pensa come loro, qualche amore che finisce bene dopo l’illusione del colpo di fulmine…

 

L’amore secondo Bulgakov (il Maestro e Margherita)

“Vieni con me, lettore! Chi ti ha detto che non esiste sulla terra un amore vero, fedele, eterno? Venga tagliata la ripugnante lingua al mentitore! Vieni con me, mio lettore, soltanto con me, e ti mostrerò questo amore! No! Il maestro sbagliava quando, in ospedale, mentre la notte superava la mezzanotte, diceva a Ivanuska che lei lo aveva dimenticato. Non poteva essere andata in questo modo. Lei naturalmente non lo aveva dimenticato.

L’amore si parò davanti come l’assassino spunta da sotto terra nel vicolo, e li colpì entrambi, all’improvviso. Così colpisce il fulmine, così colpisce il pugnale! Lei però in seguito disse che non era stato così, che si eravano amati naturalmente da tempo, senza conoscersi, senza essersi mai i visti…”

Oh…

Ok.

Direi che è un ottimo giorno per iniziare ad innamorarsi.

Diagnosi e prognosi

In medicina, la cosa più difficile in assoluto è la diagnosi: capire cosa hai.
Che stai male, lo vedono tutti. Si capisce. I sintomi sono abbastanza chiari, e piuttosto comuni: lo sguardo perso. L’attenzione che cala. Un nodo alla gola che fatica a scendere, la testa inclinata di lato.
Improvvisamente, ti piace passeggiare per la città ad orari inopportuni, quando sai che non c’è anima viva per strada. I tuoi compagni preferiti diventano i gatti randagi, qualche ubriaco nei pub. Tutte esistenze che sfiori per un attimo, colme di significato, ma probabilmente solo nella tua testa.
Nelle cuffie ascolti una playlist di Spotify, il cui nome riflette chiaramente il tuo stato d’animo, del genere “presa male”, “life sucks”… Cose così. Piccoli sprazzi di allegria.
Ti tuffi dentro ogni canzone, la fai tua, diventa la colonna sonora della tua notte. Ogni nota sembra essere stata piazzata sul pentagramma appositamente per te.
Ti trovi a fissare nella mente particolari insignificanti: un gratta e vinci gettato per strada. Le gocce di pioggia che ticchettano sul cofano di un’auto. Un negozio chiuso, impolverato, con la scritta “Affittasi”. Se compare qualcuno, qualche ragazzo che passeggia, qualche coppia, improvvisamente acquisisci la capacità di attutire ogni rumore. Il vociare della gente ti diventa indifferente, il tuo cervello lo bypassa completamente e lo sostituisce ad un assordante silenzio.
Se fumi, ti accendi una sigaretta, più per atmosfera che per concreto bisogno di nicotina. Sai che ti fa male anche lei, è sicuro, ma in fondo tutto quello che vuoi è avere una certezza.
Cerchi di calpestare le pozzanghere, finendoci dentro. I cerchi nell’acqua che crei rendono instabile l’equilibrio della superficie, rompono i legami a idrogeno e generano caos. Vuoi che, in qualche modo, l’esterno rispecchi ciò che sei dentro.
Torni a casa, dovresti dormire. Ma come fai a dormire? Hai un pensiero fisso nella testa, ma è come un miraggio, se provi a fissarlo per capire cosa sia lentamente scompare. E’ evanescente e non ti permette di metterlo a fuoco.
Non riesci ad isolare quel sentimento di instabilità, di disequilibrio, di inadeguatezza che ti pervade. Non riesci a separarlo dal resto, e si mescola talmente bene a tutto ciò che ti circonda da cominciare a caratterizzare ogni tuo gesto. Bere un bicchiere d’acqua, fare la doccia, vestirsi, tutto è malinconia.
E allora cominci a chiedere aiuto all’esterno. Fai domande strane a tutti, ascolti con attenzione tutto ciò che ti viene detto. Ma, come per la passeggiata, focalizzi solo alcuni particolari strani e inutili.
Sai che il tuo vicino di casa ha divorziato perché amava troppo. Sai che il macellaio si è tagliato un dito la settimana scorsa e non gli piacciono i broccoli. I tuoi colleghi amano i bambini ma non ne vogliono, la tua coinquilina è innamorata di Scarlett Johansson. Un infermiere di un ospedale di provincia che hai visto una volta sola ti ha svelato cosa sia il vero amore.
Fai tesoro di ogni esperienza, provi a sovrapporla come carta velina alla tua vita, ma i contorni non combaciano mai. Quando cominci a vedere un disegno, improvvisamente singhiozzi e una lacrima confonde l’inchiostro, spandendolo come una macchia informe.
Quando poi pensi a cosa potrebbero ricordarsi gli altri di te, quale ricordo possano conservare, non riesci a trovare una risposta. Forse, pensi, si ricorderanno dei miei occhi tristi, i miei occhi che si scontrano col mio viso sempre sorridente, un contrasto così potente e devastante che diventa quasi violento.
Come fai a sapere cosa hai? Come fai a trovare una cura, se non riesci nemmeno a renderti conto di cosa ti faccia stare male?
Ma soprattutto, vuoi davvero stare meglio? O forse ti piace, crogiolarti in questo stato di fragilità e voglia di piangere che però non arriva mai?
Alcuni potrebbero confonderla con atarassia, ma è tutto il contrario. Sono tantissime emozioni tutte insieme, che si annullano a vicenda fino a formare…
A formare cosa? E’ così che si diventa pazzi?
Alcuni dicono che sia l’amore. Altri la depressione.
Sono veramente così difficili da diagnosticare i sentimenti?