Pizzata trash: Turbo Kid

Una sera, il mio ragazzo ed io ci stavamo chiedendo quali fossero le origini della cultura moderna, ossia: cosa – o chi – ha ispirato ciò che vediamo adesso? Cosa ha dato inizio alla vita, all’universo e a tutto quanto?
Chiaramente stavamo prendendo egoisticamente in considerazione solo le cose che piacciono a noi: non ci chiedevamo certo l’origine di Barbie Magico Trucco o di Fabio Volo – quello proprio non solleticava il nostro interesse in quella buia sera di alcool e sushi. No, noi parlavamo di cose come Matrix (ok, quella ha origine in Platone ed è una cosa un po’ a parte), Ken il Guerriero, Borderlands, Star Wars, la fantascienza in generale, il postapocalittico, il futuro distopico… Cose che chiaramente non possono essere attribuite alla Vecchia Trinità – che, per vostra informazione, è Leonardo – Michelangelo – Raffaello. Consci di questo impellente bisogno, da “il Re è morto – evviva il Re”, abbiamo creato una nuova Triade:

Dune, Mad Max, 1984.

Queste tre opere sono un po’ come la Santissima Trinità: Dune è il Padre, Mad Max il Figlio e 1984 lo Spirito Santo.
Ecco, dopo questo piccolo sprazzo di pesante blasfemia, se avrete ancora voglia di leggere vi volevo raccontare di Turbo Kid.

2982255

Tronurbo Kid

Turbo Kid è un film canado-francese del 2015.
E’ una di quelle opere che discendono chiaramente da Mad Max, cioè il postapocalittico da disastro ambientale che, in questo caso, è dovuto dalle piogge acide. In soldoni, zero tecnologia, ritorno alle origini ed ai pezzi di ricambio.
Fra tutti i tipi di universo distopico, forse è quello che mi piace di più; il mio ragazzo ed io avevamo fatto pure un cosplay di Mad Max, ma giusto per il divertimento di raccattare scarti di officina per creare armature e cose molto fiche. Era, dopotutto, il gioco preferito di quando eravamo bambini, noi figli di collezionisti seriali con la sindrome dell’accumulo.
Insomma, Turbo Kid sembrerebbe a tutti gli effetti non solo il discendente, ma quasi la copia, soprattutto come trama, del film di Miller: un cattivone monopolizza l’acqua, i buoni vogliono riprenderla, e c’è un eroe solitario e molto sfortunato che quasi si ammazza per difendere la comunità.
Ma allora, direte voi, che lo guardiamo a fare se c’è già qualcosa di uguale e molto, molto superiore?
Ecco, di seguito vi elencherò i motivi per cui dovete assolutamente guardarlo, stronzi.

 

IL BUDGET

Il problema di Turbo Kid è il budget. E non sto parlando del budget in comparazione con Mad Max – Fury Road, un film che ha Megan Gale come comparsa e la figlia di Lenny Kravitz come caricafucile, no: un budget bassissimo in generale.
E forse questa è stata la sua fortuna, perché è proprio questa poveranza che avanza a renderlo incredibilmente epico.
Le automobili modificate? Troppo care. Avete idea di quanto costi la benzina adesso? No, no: molto meglio far girare la gente in bicicletta.
I cattivoni, gli eroi, TUTTI girano con delle biciclette. Magari con sidecar.

MV5BMTg3NjA2NjEtMjZhZS00YzJkLTk2ODUtYTFmOTc1NDA3YTkzXkEyXkFqcGdeQXVyNTc3MjUzNTI@._V1_

E per le armi? Che ne dite di un fucile a canne mozze infilato nello stivale? Il cecchino che Furiosa riesce a reggere con una mano?
Eh certo, e chi siamo, la NATO?! Ma soprattutto, in un periodo di disastro nucleare chi diavolo fabbrica le munizioni?
Le armi da fuoco sono sorpassate. Si dia inizio al ritorno delle armi bianche, quali coltelli, martelli rotanti e GnomoBastoni.

turbo-kid-2015-Anouk-Whissell-Francois-Simard-Yoann-Karl-Whissell-001

GnomoBastoni.

 

I PERSONAGGI

Provate a pensare ad una cosa: siete nel garage della vostra casa con un bel po’ di telecamere professionali e volete provare a girare un film. Cosa, assolutamente, non può mancare?
L’ingrediente numero uno della ricetta sono sicuramente gli zombie, per due motivi: uno, rendono fichi ed epici i protagonisti – o almeno, i protagonosti si sentono fichi ed epici quando tentano (a volte invano) di ammazzarli. Due, gli zombie hanno l’innato potere di far passare in secondo piano la totale incapacità recitativa dei protagonisti, sia perché sono meno espressivi di loro – seppur di poco, a volte – sia perché lo spettatore tende a concentrarsi sulla battaglia più che sulle battute.

resident-evil-the-final-chapter-1200-1200-675-675-crop-000000

Ogni riferimento a film realmente esistenti è puramente casuale.

Dunque, in questo film non ci sono zombie. Perché?
Di sicuro non perché i registi non volessero, tutti vogliono gli zombie. Non ci sono semplicemente perché non ce n’era bisogno.
Gli attori sono davvero, davvero, davvero bravissimi. La loro capacità recitativa è talmente elevata per un film di serie B che non si ha la minima voglia di venire disturbati da dei mostriciattoli che arrancano. Vogliamo guardarli sempre.

Turbo Kid è il protagonista, un ragazzino che si sente sempre un po’ fuori luogo, appassionato di fumetti, colleziona action figures e spaventato a morte dalle ragazze – un classico nerd, insomma. E’ seguito da Apple, un robot che una volta ha pulito le giunture con la noradrenalina e da quel momento non si è più ripresa. Ama il rosa e l’azzurro, non in quest’ordine, e gli unicorni.

turbokkk-kid

Frederic, invece, è una fusione fra Max Rockatansky e Walker Texas Ranger.
Inoltre, nello schieramento dei cattivi non mancano il brutto un po’ deforme, il cattivo con la maschera, i pazzoidi e la tipa cazzuta con la cresta che farebbe invidia pure a Tina Turner in cotta di maglia.

434330412_254007

 

La loro epicità e la loro violenza sono condite da quel pizzico di nonsense – nel caso di Apple – e di comicità velata – nel caso di Frederic – che rendono ancora più godibile il tutto alleggerendo l’atmosfera.

 

LO SPLATTER

In realtà c’è anche un altro motivo per cui registi e sceneggiatori tendono ad inglobare gli zombie nei loro film, ed è che quei simpatici non morti rendono etico e moralmente accettabile il nostro bisogno di violenza.
Oh, qui non ce n’è assolutamente bisogno.
Le leggi del buon gusto? Stronzate sorpassate. Qui è lo splatter che regna sovrano.
Amputazioni con seghe circolari, martellate, trituratutto NicerDicerPlus, arrotolabudella, incornate di unicorno: tutto è possibile e tutto viene fatto vedere. Godi del macello, spettatore, che è talmente splatter da essere delizioso.

maxresdefault

Nessuno viene risparmiato da questo vero e proprio bagno di sangue, nemmeno il primo bacio fra i protagonisti.

 

LA CULTURA POP

Non è facile aggiungere la cultura pop ad una ricetta ed evitare che l’intero piatto sappia solo di quello. Prendiamo come esempio Pixels, una cavolata senza trama che reggeva solo grazie ai riferimenti ai videogames. Prendiamo Ready Player One, che per quanto sia bello e godibile, senza il gioco del “contiamo quanti videogames riconosciamo durante il film” farebbe fatica a tenere incollato lo spettatore.
Eppure, è bastato un cuoco di serie B per rendere questo possibile.
Non che i riferimenti alla cultura pop siano velati qui, anzi, si sprecano già a partire dalla copertina.
Le macchine fotografiche souvenir, i fumetti stile Marvel, i braccialetti rigidi a schiocco, le biciclette modificabili… Anche l’indicatore di salute di Apple e l’arma di Turbo Kid sono deliziosamente retrò.

428926356_244895
Eppure, tutte queste chicche non fanno altro che rendere il tutto più appetitoso, senza guastarne la vera natura – ossia, il postapocalittico. Un po’ come Fallout con gli anni ’50, insomma.

 

LA FOTOGRAFIA E GLI EFFETTI SPECIALI

Questo film è una caramella per gli occhi. I colori improbabili e sgargianti che cozzano con la desolazione generale, le armature dei cattivi un po’ football e un po’ punk, le armi improbabilmente geniali e, soprattutto, gli effetti speciali lasciano lo spettatore completamente senza parole.
Come è possibile che un B movie sia fatto così bene? Qual è il vostro segreto? Perché siete così bravi?

tk_kid_in_spaceship_copyright_jpbernier20copy

Vi lascio con queste domande in sospeso: guardatelo anche voi, e rispondetemi, se ne sarete capaci. Intanto vi sarete goduti un’ottima chicca.

 

PIZZA CONSIGLIATA

Una pizza dai gusti improbabili, che dal principio vi fa storcere il naso, ma una volta assaggiatala vi lascia senza parole.
Una pera e gorgo, ad esempio.

7609280

 

 

IL CRIMINE CHE SALE – Alle donne piacciono gli stronzi

C’è una domanda che tutte noi ci siamo sentite rivolgere almeno sedicimila volte nella vita- no, scusate: ci sono due domande che tutte noi ci siamo sentite rivolgere almeno sedicimila volte nella vita. Una è: “sei nervosa? Ma hai il ciclo?” e l’altra, quella su cui vorrei focalizzare la mia attenzione, è:

“Ma perché a voi donne piacciono solo gli stronzi?”

 

Dato che rispondere a questa domanda mi crea solitamente un tantino di acidità di Stomaco, tento sempre di tergiversare. Infatti, se proprio volessimo lasciarci andare ad una piccola analisi semantica, la frase in sé non è propriamente corretta.
Innanzi tutto, non a tutte le donne piacciono gli uomini. C’è una cospicua fetta di esseri di sesso femminile particolarmente fortunati che con gli uomini non c’hanno mai avuto a che fare e non vorranno averci a che fare mai, leggi lesbiche, suore, persone anaffettive, gattare incallite… Gente che, in pratica, della vita ha capito quasi tutto.

Inoltre, non mi pare proprio che a tutte le donne piacciano gli stronzi. Ad esempio, Gandhi era sposato. Gesù aveva la sua schiera di ammiratrici – o almeno, così ricordo. Pure i patriarchi biblici erano ammogliati, anche se effettivamente qualcuno stronzetto lo era (vi ricordo che uno ha tentato di ammazzare il figlio su una pietra perché “una voce glielo aveva detto”, nzomma dai, fatte na camomilla).

Per di più, mi sembra che il giudizio maschile su chi è stronzo e chi no possa essere influenzato dal fatto che “se le piace quello là, per forza è stronzo perché mi ha rubato la tipa”. Quindi magari – e dico, magari – è giusto una vostra opinione. Citando Tolstoj, che di amore ne sapeva più di tutti noi elevati a potenza,

“Aleksèj Aleksàndrovic’ offendeva particolarmente Vrònskij. Egli riconosceva solo a se stesso il diritto indubitabile di amarla. No, ella non lo ama e non può amarlo”.

 

Detto questo,
Sì. A noi donne piacciono gli stronzi.

Già, ma come mai?
Fermarsi un attimo e riflettere su sta cosa non è semplice. Perché ci piacciono le persone cattive? Che fascino esercitano su di noi?
Perché preferiamo Loki a Thor? Il pirata al principe? VEGETA A GOKU???

4461120-1511550_223539967818286_1208911166_o

Vegeta, ma di che parliamo?

 

L’Essenza del Male

Innanzi tutto, senza il male il bene non esisterebbe. E’ l’essenza stessa della negatività che ci rende esistenti, tangibili, ci fa sentire reali e vivi. Considerandoci noi persone buone, automaticamente ci sentiamo complete con un alter ego stronzo al nostro fianco, cattivo, malvagio e scortese. Ci sentiamo parte del mondo. Citando Bulgakov,

“Sii tanto cortese da riflettere su questa domanda: che cosa sarebbe il tuo bene se non ci fosse il male, e come apparirebbe la terra se non ci fossero le ombre? Le ombre nascono dagli oggetti e dalle persone. Ci sono le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Non vorrai per caso sbucciare tutto il globo terrestre buttando via tutti gli alberi e tutto ciò che è vivo per godere nella tua fantasia della nuda luce? Sei uno sciocco”.

Oltretutto, chi è senza peccato alzi la mano, come diceva Gesù, o forse era Goku quando doveva sconfiggere Freezer. Beh, insomma, tutti abbiamo dei lati negativi, e avere al proprio fianco una persona che ne ha più di noi forse ci fa sentire meno merde. Forse.
Lo so, è come se una chiocciola stesse con un lumacotto senza guscio per farsi dire che è carina.
Io lo farei.

 

Il Fascino

Un uomo cattivo è più fascinoso? Forse. Non so, secondo me varia da persona a persona, ma proviamo ad analizzare qualche cattivo famoso: Darth Maul. Magneto. L’agente Smith. Dracula. il Joker (o Bane, vedete voi).
Cosa hanno in comune, a parte essere cattivi?
Niente.
Niente! Il buono è sempre caratterizzato sommariamente, un ragazzotto carino e simpatico, con i suoi problemi (probabilmente orfano), che ha ben chiari i propri valori e sa cosa deve fare: sconfiggere il male.
I malvagi, invece, sono sempre diversi, imprevedibili, eccitanti, tormentati, mai noiosi. Molte volte sono dei geni. Possono fallire, possono essere sconfitti. Quel filo di incertezza e precarietà che ci fa stare sulle spine e dona pepe e trasporto al rapporto.

Uno degli incipit più famosi del mondo,

“Quel ramo del lago di Como”,

…No, aspetta, forse era

“Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”

Ecco, dicevamo, l’incipit di Anna Karenina conferma questa teoria. La felicità assoluta è sempre uguale, falsa, statica, quasi finta. L’infelicità è ciò che ci rende vivi e ci fa stare in guardia.
Ci sentiamo prede e predatori, sempre sul filo del rasoio. Alla lunga stanca, ma rimane eccitante.

 

La maledetta Sindrome

Detto questo, nelle donne penso si instauri anche un meccanismo chiamato Fattore Sfida. Il Fattore Sfida è una mutazione genica del DNA che avviene durante la meiosi II, e precisamente comporta un difetto nel crossing over del cromosoma X. Se entrambi i gameti presentano questa mutazione, la donna nascitura soffrirà della cosidetta Sindrome DC, “Da Crocerossina“.
Nel caso invece i gameti non presentino la suddetta mutazione, la donna ne soffrirà ugualmente.
Il nome della mutazione deve la sua sigla da Dopo Cristo; difatti, in periodi quali l’Antica Roma o la Grecia Arcaica questa malattia ancora non si era sviluppata. “Torna col tuo scudo o su di esso“, sbuffava la moglie di Leonida, facendosi le unghie mentre lui partiva per la guerra.

300_rise_of_an_empire___queen_gorgo__2__by_newyounggun-d99fg2o

Gorgo. Grande donna.

Dal Medioevo in poi, quando i contadini smisero di andare in guerra e cominciarono a mandarci i cavalieri scapoli ed i ragazzini, le mogli si abituarono alla mollezza ed alla tranquillità del matrimonio e cominciarono a preoccuparsi per ogni stronzata. E’ per colpa loro se oggi il nostro fidanzato si lagna quando ha 37 di febbre.

Ora che la scienza ha fatto passi da gigante e non si muore più per un semplice raffreddore, noi donne abbiamo cominciato a preoccuparci degli altri mali che il nostro uomo può avere: i mali morali.
E così, noi soggetti sindromici Da Crocerossina facciamo a gara a beccarci i più disastrati sentimentalmente per Tentare di Cambiarli.
Santo cielo, vi giuro che mi sto schiaffeggiando da sola.
Inutile dire che Tentare di Cambiarli è la manifestazione più dannosa ed inutile della nostra malattia, ma non possiamo dire ad uno con la polmonite di smettere di tossire, no? Poverino, è malato. Non fa apposta.
Non odiateci. Ci hanno disegnate così.

What is love?

La prima cosa che mi salta in mente quando qualcuno mi chiede “What is love?” è ovviamente “baby don’t hurt me”. Il che, pensandoci bene, non è proprio carico di connotazioni positive. Partiamo subito disillusi, mettiamo le mani avanti, “frega niente what is love, basta che don’t hurt me, don’t hurt me, no more”. Perché, come ben sappiamo, “chi meno ama è più forte, si sa”.

Ma è davvero così che funziona? Non esisterà nessuno in grado di darci speranza? Una visione rosea?

Per risolvere questo quesito vecchio come il mondo, che si contende il primato con la nascita primogenita dell’uovo o della gallina, ho deciso di farmi aiutare dai classici della letteratura. Loro ne sanno sempre più di noi. Ho fatto una breve cernita della libreria e ho preso alcuni volumi, un po’ a caso, un po’ apposta.

 

L’amore secondo Orwell (1984)

Quando fai all’amore, spendi energia; e dopo ti senti felice e non te ne frega più di niente. Loro non possono tollerare che ci si senta in questo modo. Se sei felice e soddisfatto dentro di te, che te ne frega del Grande Fratello, e di tutto il resto di quelle loro porcate?

Secondo Orwell, l’amore è l’unica via d’uscita in un mondo di merda. Ma comunque tranquilli, è un’illusione! Come la felicità: dura quel che dura, poi si torna alla cruda realtà, e forse si sta peggio di prima, perché si è ormai consapevoli che quella che prima vedevamo come una salvezza è solo un’altra inutile bugia.

 

L’amore secondo Tolstoj (Anna Karenina)

Devi capire che per me dal giorno che ho cominciato ad amarti tutto s’è mutato. Per me c’è una cosa sola: è il tuo amore. Se adesso è mio, mi sento allora così in alto, così salda, che nulla per me può essere umiliante.”

Così dice Anna innamorata. Sembra fantastico, vero? L’amore che cancella la vita e tutto il resto, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. Ma lui, invece, si sente così:

Un tempo si considerava infelice, ma la felicità era nel futuro; ora invece sentiva che la felicità migliore era già nel passato.”

Di nuovo la caducità del presente. Sì, ok, tutti felici e contenti quando ci si aspetta qualcosa, ma quando si cade nella routine? Quando le piccole gelosie, la noia, la rabbia e i bisticci diventano all’ordine del giorno? Quando la gente smette di vedervi come la novità?
Bah. Meglio buttarsi sotto un treno.

 

L’amore secondo Giacomo Casanova (Memorie)

Il fuoco del desiderio assomiglia ad un fuoco di paglia: quando divampa, è già prossimo ad esaurirsi”.

Dai, se lo dice lui ci dobbiamo fidare. Riprendo ciò che ho scritto sopra.

 

L’amore secondo Giuseppe Berto (Anonimo Veneziano)

Beh, qui partiamo in svantaggio. Il libro – e così anche il film – parlano di un amore già finito. O meglio: di un matrimonio già finito. Ma l’amore, quello c’è ancora o no?

Il nostro matrimonio sarà anche andato male, ma credo che nessuno al mondo abbia mai fatto l’amore come noi. Nessuno“.
Sarà per questo che è andato male. Le cose troppo grandi non sono di questo mondo“.

Forse sì. Forse, nonostante l’odio trapeli dalle loro parole mentre si insultano per le calli di Venezia, qualcosa è rimasto. O forse niente si è mai spento. Ma come facciamo ad essere sicuri che sia amore, e non abitudine?

Anche qui si delinea bene la differenza fra “innamorarsi” e “amarsi”: ci si conosce, tutto rose e fiori, si fa l’amore tutti i giorni, si mangia fuori, ma quando ci si sposa, quanto si fanno la lavatrice e la spesa, ecco che quel qualcosa si rompe…

 

L’amore secondo Thomas Mann (La Montagna incantata)

“Per dirla schietta, il nostro viaggiatore era dunque pazzamente innamorato di Clavdia Chauchat. Il suo innamoramento non consisteva quindi in una gentile e sentimentale malinconia secondo lo spirito di quella canzonetta. Era invece una piuttosto arrischiata e disancorata varietà di questa malia, mista di gelo e calore, come lo stato di salute d’un febbricitante”

Lui la ama.

Lei rispose: “Oh, l’amour nest rein, s’il nest pas de la folie, une chose insensée, défendue et une aventure dans le mal. Autrement c’est une banalité agréable, bonne pour en faire de petites chansons paisibles dans les plaines.”

Lei no.

 

L’amore secondo Buzzati (Un Amore)

“Un segreto molto semplice: l’amore. Tutto ciò che ci affascina nel mondo inanimato, i boschi, le pianure, i fiumi, le montagne, i mari, le valli, le steppe, di più, di più, le città, i palazzi, le pietre, di più, il cielo, i tramonti, le tempeste, di più, la neve, la notte, le stelle, il vento, tutte queste cose, di per sé vuote e indifferenti, si caricano di significato umano perché, senza che noi lo sospettiamo, contengono un presentimento d’amore”.

La più bella dichiarazione d’amore mai scritta. Complimenti.

Peccato che non solo lei non sia innamorata di lui, ma faccia del suo meglio per sfruttare la sua debolezza. Continuamente. Crudelmente.

 

L’amore secondo David Herbert (L’amante di Lady Chatterley)

“Io credo” disse Lady Bennerley, con aria pensosa “che se l’amore scomparisse, qualcos’altro prenderebbe il suo posto. La morfina, forse.”

 

Lady Bennerley, sposami. Ora.

 

In sintesi, se uno volesse innamorarsi, al giorno d’oggi, cosa dovrebbe fare? Di sicuro non leggere. Prendi in mano un libro, che sicuramente ha più esperienza di te, ha vissuto settemila vite, è stato letto da migliaia di paia di occhi, e speri che ti doni un po’ di poesia… E invece no! Una bella mazzata fra capo e collo, e ti riporta alla dura realtà, con due belle palle di cemento attaccate alle caviglie. Insomma, siamo quindi tutti d’accordo che è meglio lasciar perdere? Farsi di morfina? Suicidarsi teatralmente sotto la neve? Comprarsi un cagnolino?

Però ci dovrà essere almeno qualcuno che non la pensa come loro, qualche amore che finisce bene dopo l’illusione del colpo di fulmine…

 

L’amore secondo Bulgakov (il Maestro e Margherita)

“Vieni con me, lettore! Chi ti ha detto che non esiste sulla terra un amore vero, fedele, eterno? Venga tagliata la ripugnante lingua al mentitore! Vieni con me, mio lettore, soltanto con me, e ti mostrerò questo amore! No! Il maestro sbagliava quando, in ospedale, mentre la notte superava la mezzanotte, diceva a Ivanuska che lei lo aveva dimenticato. Non poteva essere andata in questo modo. Lei naturalmente non lo aveva dimenticato.

L’amore si parò davanti come l’assassino spunta da sotto terra nel vicolo, e li colpì entrambi, all’improvviso. Così colpisce il fulmine, così colpisce il pugnale! Lei però in seguito disse che non era stato così, che si eravano amati naturalmente da tempo, senza conoscersi, senza essersi mai i visti…”

Oh…

Ok.

Direi che è un ottimo giorno per iniziare ad innamorarsi.

Pizzata trash: The Great Wall

Se una persona esterna alla mia vita leggesse il mio blog – descrizione in cui si rispecchiano molti dei miei lettori – potrebbe pensare che io mi atteggi un po’ troppo da secchiona intellettuale. “Eh, vabé, Montale e Joyce, e la paratassi fa schifo, e non ha un attimo di svago sto Stomaco?

Avete perfettamente ragione. Lungi da me fornirvi un ritratto troppo idealizzato, ma purtroppo quando si inizia a scrivere di un argomento in particolare si finisce col diventare saccenti.

Per salvarmi dalla perdizione – e salvarvi dalla noia – ho deciso di raccontarvi uno dei miei più intimi segreti: una volta al mese, di sabato, guardo un film trash mangiando una pizza da asporto con il mio ragazzo.
So cosa hai fatto lo scorso sabato.

Badate bene: per trash non intendo film come Kingsman, Pixels e compagnia bella: no, trash trash, di quelli che non vuoi vedere al cinema perché 1. non li hanno mai mandati o 2. al cinema c’erano, ma ti sembrava un po’ buttato via spendere 12 euro per vederti in IMAX certe cagate, ecco.
In questa serata rientrano i film di serie b, quelli autoprodotti o semplicemente quelli dove il regista si è fatto di mescalina prima di assumere Fabio Volo come sceneggiatore.
Insomma, dopo il genere “Spaghetti Western” ecco a voi… Il “Pizzata Trash”!

Il primo film di cui vorrei parlarvi è il primo che abbiamo visto: The Great Wall.

immagine 1

The Great Wall è uscito al cinema. Ce lo avevano propinato come kolossal, di produzione americano – cinese, con un cast eccezionale: Matt Damon, William Dafoe (Platoon) e Pedro Pascal. Pedro Pascal. E chi sarebbe Pedro Pascal?
Vado su Wikipedia e… Ah, ha fatto Game of Thrones. Ah, ha fatto un episodio di Buffy.
Fine del cast eccezionale.

Il vero problema di questo film penso sia stato il trailer: faceva davvero ridere. Cioè, parliamone: si capiva benissimo che sarebbe stata una cagata pazzesca. Gente che vola, mostri che arrivano – perché fanno vedere subito i mostri nel trailer?! – cinesi stereotipati, tutti uguali, che sanno solo combattere e parlare in cinese sembrando arrabbiati e frettolosi. E Matt Damon, che salta e fa acrobazie da Legolas durante la battaglia del fosso di Helm. Mah.
E’ il tipico trailer che vi fa capire che no, forse è meglio noleggiarlo, o farselo prestare, o meglio ancora evitare del tutto. Aspettare che qualcuno lo tiri fuori una calda sera d’estate quando pure la fiera del paese ha chiuso per afa.

Sabato scorso era uno di quei giorni.

Il film parte con un… E’ triste dirlo: con un espediente narrativo. Il regista voleva trovarsi nella situazione dove Matt Damon uccideva mostri sulla muraglia, ma sebbene gli occhi dell’attore non siano particolarmente grandi, si capiva che non era cinese, e gli serviva una scusa per farlo arrivare lì.
Ed ecco il lampo di genio: Matt e Pedro (che si chiama Pedro anche nel film, “questi messicani sono tutti blutti uguali”) sono partiti a cavallo da… Da? Dall’Europa, non si capisce bene da dove, da soli, piano piano lemme lemme, per arrivare in CINA e rubare della polvere da sparo per il governo.
Tipo mandare un esercito?
Tipo mandare Marco Cazzo Polo?

Beh, insomma, mandano sti due soldati, che manco parlano cinese, in Cina. Va tutto bene, finché una notte non uccidono una lucertola al buio con la stessa fatica con cui io schiaccerei un ragnetto e arrivano alla Muraglia, e qui inizia il momento confusione. Sono fatti prigionieri (?) e però, dato che hanno ucciso il lucertolone, diventano eroi, e però li vogliono mettere in prigione lo stesso (?) e però non trovano le chiavi della prigione (!!!) e allora tutti a combattere insieme i lucertoloni dalla Muraglia.

Vabé. Arrivi a questo punto e speri che gli espedienti siano finiti, perché hai mangiato così tante foglie da essere diventato un cazzo di diplodoco.

Al minuto 20 circa tu hai già visto i mostri, hai già imparato quali sono i loro punti deboli e ti sei già accorto che non hanno il minimo senso: sono delle specie di mastini lucertola con gli occhi laterali… LATERALI! Capite? Dei predatori con le capacità visive di un brontosauro. Non mi stupisce che non abbiano fatto molta strada. Sono guidati da una Regina, e se uccidi la Regina li uccidi tutti.

Momento momento momento: dove l’ho già sentita?
Tipo nelle api?
Tipo in Matrix, dove se uccidi l’agente Smith le sentinelle se ne tornano a casa?
Tipo in Indipendence Day 2, dove se ammazzi l’astronave madre muoiono tutte le altre?
Tipo in ALIEN?!
Piccolo avviso per i registi che vogliono creare futuri film: BASTA CON STA CAZZO DI STORIA DELLA REGINA! Vogliamo dei film con combattimenti FINO ALL’ULTIMO SANGUE! Eserciti contro eserciti, non “per creare suspence dico che sono visibilmente in svantaggio e poi l’unico modo che ho per vincere è fargli un danno infimo che tutto cade come un castello di carte”. Avete rottpower rangerso!

Ma torniamo al film. La battaglia si svolge così: i cinesi, come i Power Rangers, sono di colori diversi a seconda della loro funzione, tipo arcieri rossi, fanteria nera, lanciatori ad effetto gialli e bungee jumpers blu.

 

Già, bungee jumpers blu.
bungee

La domanda è: perché non usano la polvere da sparo?
La risposta è: ma vi ricordate che era solo un espediente narrativo?
In sunto, ovviamente nella battaglia tutti fanno cagare, finché Matt Damon non si scanta fuori e ammazza quaranta lucertole solo guardandole male.
Viene celebrato da eroe.

Frugando nelle sue tasche, si scopre che si porta in giro una calamita, forse un regalo dalla Turchia per sua nonna, e magicamente si scopre che se avvicini la calamita ai lucertoloni essi non sentono gli ordini della regina e muoiono (?).
Caso vuole che in Cina non esistano calamite.
Questo un po’ mi disagia, perché l’alunna di mia mamma le ha portato il magnete per il frigo da Pechino, e qui uno dei due ci ha preso in giro.
Beh, insomma, Matt Damon deve portare il magnete nella capitale per togliere campo dal GPS dei mostri e farli così morire. Mentre vola verso Pechino a bordo di lanterne cinesi giganti (wha-) gli dicono, senza che nessuno gliel’abbia chiesto, da dove vengono i mostri: da un meteorite.
Ah.

Eh, dicevamo: arrivano sulla cima di un palazzo pieno di vetri, nella piazza sottostante c’è la Regina, e non al primo, non al secondo ma al terzo lancio (come in ogni OCD che si rispetti) la uccidono e tutti i mostri muoiono. Cioè, si accasciano proprio. Manco tornano sul meteorite.

Alla fine, Matt Damon e Pedro tornano a casa, senza la polvere da sparo – tanto se ne erano dimenticati- ma più ricchi, grazie al pippone sulla fiducia e sul rispetto reciproco che gli ha fatto la ragazza che dovrebbe essere il generale dei Bungee Jumpers.

Fine.

pippone finale

Allora.

Qualcuno può per cortesia spiegarmi il senso di questa cosa?

Su quali leggi della decenza è stata costruita questa orribile trama?

Se questa fosse una fanfiction, sotto che categoria andrebbe? “Plot, what plot” o “out of fucking sense“?

In quale modo questo film mi avrebbe arricchito?

Perché leggo recensioni che dicono “un fantasy la cui prima ispirazione è il Signore degli Anelli“?

Perché le bestemmie sono legali?

Ovviamente, tutti ad osannare la fotografia. La fotografia! Voglio dire, tu giudichi un film “bello” in base esclusivamente alla fotografia!? E’ come andare in un ristorante, ordinare gli spaghetti con le vongole e vedersi arrivare una cazzata macrobiotica con la fogliolina piegata che fa tanto instagram. E io che me magno!?

La fotografia è qualcosa che viene dopo. Nell’ordine, viene dopo:

  1. la trama;
  2. il buon senso;
  3. tre centinaia di altri aspetti quali la recitazione, il messaggio, i personaggi, la profondità psicologica di questi… La decenza…

Valore della serata trash: 4/10. Giusto per la fotografia.

Pizza consigliata: qualcosa di leggero, pizza bianca con origano e zucchine. Perché c’è già il film difficile da digerire, non esageriamo.

Focaccia-integrale-con-zucchine-e-crescenza1.jpg

(Qui c’è la ricetta, se volete. E’ di un sito che sembra anche serio, non come questo).

Recensione – Intervista col Vampiro

Ok, ok: dovevo andare in vacanza e avevo bisogno di un libro da ombrellone – fidatevi, ho letto l’Ulisse di Joyce al mare e non è stata per niente una buona idea. Mi serviva una lettura leggera, tranquilla, che non mi impegnasse più di tanto la mente. Qualcosa di veloce.

Quando mi sono ricordata di avere questo libro fra gli scaffali, ho sinceramente provato una punta di vergogna. Sono sempre stata una che apprezza i fantasy solo se iniziano con “Il Signore degli” e finiscono con “Anelli”, e non mi sono mai fidata dei romanzi gotici.
Lo so, chiudersi completamente ad un genere non è mai una mossa saggia. Dopotutto ho letto tranquillamente Frankenstein, Dr Jackill e Mr Hide; eppure, quando si iniziano ad accostare i vampiri, sento che c’è qualcosa che non va. Mi chiudo in me stessa, mi isolo in un angolino e aspetto che appaia un Montale selvatico per provare a catturarlo.

Così però non può andare. Mi sono fatta forza e mi sono detta: diamo una possibilità a questo genere che sottovaluto così tanto senza apparente ragione. Diamogli una possibilità, anche perché in fondo il film non faceva così tanto cagare.
E quindi ho iniziato Anne Rice, e ne sono rimasta piacevolmente colpita.

 

Che cosa è?

Temi: questo è un libro sui vampiri. L’ho già detto, ma ci tengo a mettere le cose in chiaro. Ce ne sono davvero pochi, di libri sui vampiri – e per vampiri intendo vampiri veri, non cose luccicanti e/o teenager con problemi di cuore (che non siano “non ho abbastanza sangue nelle coronarie”, s’intende). Per vampiri intendo ciò che intendeva Ortolani:

vampiri

I Signori della Notte, con vestiti dandy, i capelli lucenti e un po’ effemminati. Quando leggiamo di vampiri, vogliamo fascino, riccanza, classe.

Genere: non so, tutti i romanzi di vampiri che ho letto io (cioè, Dracula e questo) non parlano di quello che io chiamo “il dramma di Lady Hawke”, cioè “oddio io vivo di notte e lei di giorno, come faremo ad incontrarci”: parlano di cose molto, molto più profonde. Questo è, a tutti gli effetti, un romanzo gotico che si rispetti.

In molti hanno confuso in “romanticismo” del romanzo gotico con le storie d’amore: ecco, non c’entra niente. L’amore è una cosa, il romanticismo è ben altro. Ripassiamo tutti la letteratura prima di scrivere, please.
Anne Rice sa bene quello di cui deve parlare, e lo fa con una capacità magistrale. Esplora l’inconscio di quella che è una creatura immaginaria come se stesse psicanalizzando un paziente con cui ha appena parlato. Riesce ad immedesimarsi così bene nelle sue creazioni da anticiparne i problemi e le difficoltà – badate bene: una cosa del genere l’ho letta solo in Asimov e nel Sommo Herbert. Non è per niente cosa da tutti.

Pubblico: finalmente, un libro che mi sento di consigliare un po’ a tutti – ovviamente, non a chi spera in uno spinoff di Edward e Bella.
Mi sento un po’ ritardata a tirare fuori l’argomento Twilight, giusto perché ormai è pure passato di moda: ma provate a capirmi, ho avuto bisogno del mio tempo di recupero per riavvicinarmi ai vampiri da quando quel libro è diventato di dominio pubblico. E’ come quando ti piace il rap, lo adori, fai sentire ai tuoi amici gli artisti stranieri che ti gasano un casino e poi, in Italia, scoppia il boom di Fedez che ti infanga il genere. Stessa cosa.

Avvertimenti: Attenzione! Questo è un libro sui vampiri.
Attenzione: questo non è il solito libro sui vampiri.

 

Le questioni pratiche – ovvero: le domande scomode

Livello di impegno: ★★☆☆☆. E’ quello che io chiamo “libro da ombrellone”: tranquillo, veloce, scorrevole. I colpi di scena ci sono, ma la narrazione è calma, morbida, dolce. Ti culla e ti accompagna. L’espediente di raccontare tramite flashback la storia passata dona di base un senso di tranquillità, che è adiuvato anche dall’indole del narratore, Louis, sempre riflessivo e pacifico.
Ciò che lo differenzia da un libro noioso, però, sono le tematiche affrontate, profonde e non scontate.

Tempo: ★☆☆☆☆. Tempo di lettura: circa due giorni. Molto semplice e coinvolgente.

Difficoltà del linguaggio: ★☆☆☆☆. Semplice anch’esso. Frasi brevi, poche descrizioni; il narratore deve raccontare la sua vita, e quindi non ama perdersi in dettagli futili. Dimenticatevi i particolari maniacali di Dracula di Bram Stoker: qui si viaggia leggeri.

Divertimento: ★☆☆☆☆. No, beh, adesso: semplice quanto volete, scorrevole, calmo; ma che nessuno dica che è un libro divertente. Non c’è un solo momento – uno solo – in cui il protagonista, Louis, parli di un suo sorriso. Mai. Da quando è diventato un vampiro, data che per lui coincide con la sua morte, non ha più avuto un attimo di felicità, serenità o gioia.

Ansia e disagio: ★★★★★. Forse sarà un richiamo particolare, forse mi attrarranno in qualche modo, ma alla fine leggo sempre libri che hanno un considerevole livello di disagio. E, se devo essere sincera, forse alla fine mi piacciono proprio per questo.
Ciò che più mi è piaciuto di questo libro è che parla di uno dei problemi che nessuno prima d’ora si era mai posto: perché esistono i vampiri? Da che cosa sono nati? Cosa provano?
Non è facile trovare delle narrazioni che stiano dalla parte dei carnefici, e non delle vittime. I disagi, le ansie, le domande che si pongono sono proprio uguali a quelle dei mortali.

Difetti: ★★☆☆☆. Non. Finisce.
Devo smetterla di comprare libri che fanno parte di collane. Non ne posso più.

 

Le emozioni che trasmette

Un personaggio fico: Louis, senza ombra di dubbio. Louis è un vampiro, ma solo nell’aspetto: dentro di sé sente ancora la fede, le pulsioni e gli istinti di un normale essere umano. Louis è un essere in eterno conflitto: deve uccidere per sopravvivere, ma i delitti lo riempiono d’orrore; è credente, ma la sua stessa esistenza sembra la prova della non esistenza di Dio; odia i vampiri, sebbene sia costretto a vivere con i suoi simili per non impazzire; ama gli esseri umani, ma loro lo temono e tentano di scacciarlo. Louis compie un viaggio, anzi, molti viaggi durante la sua non-vita per cercare di trovare se stesso; ciò che troverà alla fine sarà l’ennesima delusione, sia per lui che per noi. La sua vita alla ricerca di se stesso non è poi così dissimile dalla nostra, e forse la sua trasformazione in un vampiro l’ha reso ancora più umano di quanto non fosse prima.

Personaggi da odiare: in realtà, non mi sento di odiare nessuno. All’inizio non sopportavo quel pallone gonfieto di Lestat: un giovane borioso e viziato, pieno di niente, un antipatico parassita. Tuttavia, con l’evoluzione di Louis, si assiste anche ad una diversa presa di coscienza degli altri personaggi; nessuno nasce malvagio, e forse ciò di cui tutti abbiamo bisogno è solo un po’ di amore e comprensione.

Colore: il blu scuro dei broccati preziosi e il verde tenue della luce della luna fra gli alberi.

Canzone: qualche aria suonata con un clavicembalo dalla sorella di Louis, una sera, con le finestre aperte sulla veranda.

Rumore: Lo sfrecciare delle carrozze sull’acciottolato delle strade, la risata cristallina di una bambina che ha appena trovato qualcuno con chi giocare.

Odore: il profumo della cipria, le fragranze costose delle botteghe di città.

Sensazione: un’arietta fresca, che fa presagire la notte imminente. La calma compatta di una città che non si aspetta di essere svegliata da un vampiro a caccia.

Sapore: ovviamente, il sapore metallico del sangue.

Citazione: Tu non conosci la tua natura di vampiro. Sei come un uomo adulto che, ripensando alla sua infanzia, s’accorge di non averla mai apprezzata. Ma non puoi, da uomo, tornare ai tuoi balocchi, solo perché adesso hai capito quanto valgono. Stanotte uccidi una donna bella e piena di vita. Sarai saziato, Louis, com’è destino che tu sia, e quando sarà finita, ti tornerà fame ancora: il rosso che c’è in questo bicchiere sarà altrettanto rosso.

Recensione – Nuovi Racconti Romani

Piccola premessa iniziale: io adoro Moravia.

Quando mi capitò in mano Gli Indifferenti me ne innamorai subito, all’improvviso, con violenza, come se quel libro fosse lì, da anni, silente ad aspettarmi e avesse trascorso tutto quel tempo tentando di diventare il mio romanzo ideale.
Non sono qui però per fare una recensione su Gli Indifferenti, no, non so se ci riuscirei. Scadrei nel banale, e poi l’ho letto ormai tanti anni fa. Mi sono ripromessa di recensire libri appena letti, e non a caso: leggere un libro è come mangiare in un ristorante, dopo qualche mese ti sei dimenticato che gusto avevano il risotto al tartufo o le linguine all’astice. Devi farlo subito.
Quando in libreria ho trovato il suo Nuovi Racconti Romani, lo confesso, ho provato la stessa sensazione che avevo sentito con l’altro romanzo: questo libro è stato scritto per me. L’ho dovuto comprare e leggere immediatamente.

 

Che cosa è?

Temi: questo libro è una raccolta di racconti brevi, brevissimi, talmente corti che ci si stupisce, si rimane male perché si vorrebbe ancora restare a guardare la vita del protagonista che abbiamo appena conosciuto. Non facciamo in tempo ad affezionarci, che già ne arriva un altro. Che stacco brutale.

Genere: sono romanzi scritti seguendo il filone dell’iperrealismo, quell’attenzione maniacale ai particolari grotteschi e tristi che impregnano la vita dei poveri. Tutti, ripeto, tutti i personaggi sono poveri. Non provengono dalla Roma bene, non abitano ai Parioli o dietro Villa Borghese; fanno l’elemosina, vendono sigarette di contrabbando, perseguitano le coppiette per farsi comprare un mazzettino di viole. Conoscono a memoria tutti gli espedienti per portare a casa – casa? Quale casa? – un pochino di soldi.
E’ una Roma che pochi conoscono, ma che esiste. E’ una Roma scomoda, da nascondere e da celare; e gli innumerevoli personaggi di queste pagine vogliono gridarla, invece, vogliono far sapere a tutti che la vera città sono loro, non i turisti, non i ricconi che si sono trasferiti da Milano, non i nobili decaduti, ma loro, il bottigliaro, il becchino, il mendicante e la fioraia, le piccole formichine che lavorano, stringono i denti e tirano avanti da soli l’intera Città Eterna.

Pubblico: Moravia non è per tutti. Moravia è per quel genere di persone che preferiscono leggere la vita con un livello di lettura più intimo, profondo, nascosto. Moravia riconosce il particolare in un avvenimento apparentemente privo di originalità e lo trasforma in un capolavoro.

Avvertimenti: se non appartenete al pubblico che ho descritto sopra, lasciate perdere. Vi annoiereste a morte. Sia ben chiaro: il fatto che mi piace Moravia non mi rende superiore a voi che vi scoglionate a leggerlo. Lo stile letterario è come una lingua, se non riuscite a capirlo parlate in un altro modo. Non ce n’è uno migliore di un altro – ovviamente a parte Fabio Volo. Lui non ha uno stile e fa schifo e basta.
Grazie Fabio, ogni volta che leggo una tua frase mi sento una scrittrice talentuosa.

 

Le questioni pratiche – ovvero: le domande scomode

Livello di impegno: ★★★★☆. Il fatto che siano racconti brevi ci permette di prendere fiato e recuperare le energie. L’attenzione sarebbe messa a dura prova se si trattasse di un romanzo unitario; lo stile di Moravia non gli permette di dilungarsi troppo con le pagine. Tuttavia, ci sono tante, davvero tante figure retoriche che farciscono la narrazione. Sono semplici, naturali, quasi difficili da riconoscere: ma ci sono, e la poesia e la musicalità che percepiamo e non riusciamo a spiegarci proviene proprio da loro.

Tempo: ★★★☆☆. Pensavo di metterci di meno, a leggerlo. Mi sbagliavo: la lettura può essere fluida, ma i racconti sono veramente tanti.

Difficoltà del linguaggio: ★★★☆☆. E’ il popolo che parla: domina quindi la paratassi giustificata dall’uso del discorso diretto sciolto. E come ogni discorso diretto sciolto che si rispetti, attinge dalla – lo so, sono ripetitiva – stream of consciousness. Me li cerco col lanternino, vero?

Divertimento: ★★★☆☆. La sapete la differenza fra comicità ed umorismo? La mia professoressa di italiano portava sempre questo come esempio: “se vedo una donna di sessant’anni conciata come una ragazzina, è comica. Se scopro che si veste e che si trucca così perché ha un marito giovanissimo e ha paura di perderlo, diventa umoristica“.
Questo romanzo è a tratti triste, a tratti umoristico. Le prese in giro ed i tranelli in cui cadono i protagonisti suscitano solo risate amare e strette al cuore.

Ansia e disagio: ★★★★★. Tanto, tantissimo disagio. Io mi immedesimo molto nei protagonisti, e per me leggere questo libro è stato davvero un esercizio di autocontrollo. Non c’è una storia che finisca completamente bene, senza intoppi, senza problemi! Giustamente, direte voi, così è la vita, ma ogni volta non riuscivo a non pensare a quei poveri ragazzi, condannati dalla nascita alla miseria e che stupidamente commettono errori su errori sperando di poter evadere dalla loro condizione.

Difetti: ★★☆☆☆. Non è per tutti. Nel mio mondo ideale tutti leggerebbero Moravia, lo amerebbero e mi citerebbero intere frasi solo per migliorarmi la giornata. Essendo il mondo reale ben lontano, tutto ciò non esiste, Moravia lo leggono in pochi ed i pochi che lo leggono il più delle volte non lo apprezzano. Certo, questa non è una colpa dell’autore: è colpa mia, che mi ostino a leggere libri del passato e mi lamento se nessuno se li caga di striscio. Come con le serie TV, uguale: mi appassiono a qualcosa che è uscito anni prima e mi lamento se nessuno lo sta guardando. Capita.

 

Le emozioni che trasmette

Un personaggio fico: se dovessi sceglierne uno, Geremia. Geremia lo zingaro, un ragazzo biondo, dai tratti forti, che ci tiene alle sue origini e a far capire che è diverso da te, cittadino di una capitale che non si accorge nemmeno che esisti. Geremia, insieme alla sua gente, non appartiene a Roma; ci vive temporaneamente, prende ciò che gli serve e quando ha voglia se ne va. E’ talmente silenzioso che Roma nemmeno se ne accorge, lo lascia fare, che vuoi che sia un ragazzo in più o uno in meno. Sembra canzonarti, Geremia, perché invece tu ci tieni alle tue radici, ci tieni alla tua Roma, e non ti rendi conto che lei per te non farebbe niente, nemmeno sfamarti, nemmeno darti un lavoro. Lui è un nomade, domani se ne andrà, mentre tu sei fisso, piantato coi chiodi, e domani sarai ancora lì a morire di fame. Geremia ti affascina perché anche tu vorresti essere come lui. Cerchi di imitarlo nel vestire, nel parlare, anche nelle sue arti magiche: ma basta poco per spaventarti, per farti capire che tutto quello che vuoi tu è la tranquillità e la monotonia, e che quindi il tuo posto è lì dove ti hanno destinato, nel fango e nel dimenticatoio.

Personaggi da odiare: ecco, qui ci si spreca. Dal vecchio approfittatore che cerca di fidelizzarsi i ragazzi per mandarli a rubare al posto suo, alla donna maliarda che con le lacrime spilla soldi a tutti, alla ragazza crudele che spezza cuori senza curarsi nemmeno della dignità. Ogni personaggio si racconta, mette alla luce i propri difetti e li riconosce, se ne vanta, li denigra: sembra quasi che l’autore li abbia provati tutti.

Colore: grigio, grigio cemento delle strade, grigio chiaro delle ringhiere, grigio spento delle nuvole che si appoggiano come una coperta pesante su una città che nessun turista vede davvero.

Canzone: una vecchia canzone italiana, lagnosa, lunga e stonata, cantata in dialetto sul ciglio della strada da un ragazzo con la chitarra appoggiata al ginocchio.

Rumore: il vociare delle gente, le urla delle donne alle finestre, lo schiamazzare dei bambini, il rombo della marmitta di una motoretta.

Odore: quello della benzina, del sugo al pomodoro e del caffè.

Sensazione: la consapevolezza che tutto rimarrà esattamente come prima, che nessuno si salva dalla miseria, che eravamo poveri, siamo poveri e lo saremo anche domani.

Sapore: l’amaro del fumo di sigaretta che rimane in bocca, mischiato all’amaro del caffè bevuto la mattina, mischiato all’amaro del panino mezzo bruciacchiato che ci ha offerto la trattoria sotto casa.

Citazione: Gli anni se ne andarono uno dopo l’altro, senza che me ne accorgessi, al trotto e finalmente al galoppo. Gli anni se ne andarono come se ne vanno gli anni: a giorni, a settimane, a mesi, a stagioni; e c’era sempre qualche cosa che mi occupava il tempo e mi faceva sperare, che mi faceva guardare al futuro, mettiamo tre mesi, e così quei tre mesi passavano, ma quattro volte tre mesi fa un anno e così dodici anni se ne andarono. Con questo sistema della fronda che fa camminare il somaro, mi pareva di andare avanti e non mi accorgevo invece di andare indietro perché la vita è come una montagna e fino ad un certo punto si sale e poi si comincia a scendere.

 

2ad9004b17bac65d8b336a879e578a44

Recensione: Il caso Malaussène – mi hanno mentito

Un mio caro amico è partito per l’Afghanistan per due anni. Va là a lavorare.
Mi mancherà tanto e sicuramente sarò preoccupatissima per lui. Ci siamo visti la sera prima che partisse, e per tirarmi su di morale mi ha prestato un libro.
“Me lo ridarai quando ritorno”, mi ha detto.
Sono passate tipo due settimane e, come è ovvio, l’ho già finito da un pezzo. Dovrò scrivergli di consigliarmene altri venti, per ingannare l’attesa.

Il libro in questione è “Il caso Malaussène – mi hanno mentito“, di Daniel Pennac. E’ un romanzo che riprende la vecchia saga della famiglia di Malaussène, saga che io non ho mai letto, ma che ora ho una voglia assurda di conoscere.
Pennac è sempre stato un grande scrittore, non temevo affatto una delusione. Infatti, CVD, il libro è magnifico.

 

Che cosa è?

Temi: la trama è decisamente vincente. Sembra un semplice giallo, ma è farcito con tematiche riguardanti gli universi familiari, letterari, polizieschi, amorosi… Tutti intrecciati così sapientemente che viene da chiedersi se non sia successo veramente. Un giallo di cui quasi quasi non ci interessa la fine, perché è così bello sentirselo raccontare…

Genere: ripeto, è un giallo, ma con elementi di commedia e di romanzo comico. E’ anche un romanzo familiare, ma non come “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg che descrive in modo autobiografico la famiglia dell’autrice. Ce ne frega qualcosa di come tuo padre chiamava il frigorifero? Ci interessano davvero i nomignoli che vi davate? Perché la gente sente sempre l’impellente bisogno di parlare di sé come se a qualcuno gliene fregasse?
Scusate lo sfogo. Pennac parla di una famiglia talmente borderline da essere per forza di fantasia, che racchiude tutti i difetti e tutti i pregi delle famiglie del mondo, cosicché tutti – e nessuno, grazie a dio – possiamo immedesimarvici. Questo ci rende più partecipi, e non soltanto dei cavolo di voyeur, capito, Naty?

Pubblico: ho sempre pensato che Pennac fosse adatto a tutti, da quando ho letto quel fantastico libro “Diario di scuola“. E’ un autore a cui piace parlare direttamente ai propri lettori, è un autore che presenta punti di vista diversi e li appoggia tutti – Murakami, impara please. Non ci si può sentire esclusi quando si leggono i suoi romanzi, si fa sempre parte della sua grande famiglia.

Avvertimenti: non penso di doverne dare. Questo libro appartiene ad una saga, ma anche se non l’avete letta non importa, riuscirete lo stesso a goderlo appieno. Fidatevi.

 

Le questioni pratiche – ovvero: le domande scomode

Livello di impegno: ★★☆☆☆. Lo leggevo mentre facevo tapis roulant in palestra, per finirlo un giorno ho fatto venti minuti di corsa senza accorgermene.

Tempo: ★☆☆☆☆. 274 pagine di divertimento puro, le divorerete.

Difficoltà del linguaggio: ★☆☆☆☆. Linguaggio semplice, registro simile alla vita di tutti i giorni. Sono persone come noi che parlano, senza fronzoli. Ovviamente doveva infilarci uno stream of consciousness, appena accennato eh, appena visibile, ma come si fa a non apprezzarlo? Proprio nel primo capitolo. Amore.

Divertimento: ★★★★★. Molto divertente. Daniel Pennac ha sempre utilizzato questo tipo di scrittura, che fa sorridere e sghignazzare tra sé e sé il lettore. Ci presenta davanti categorie di persone talmente realistiche che è impossibile non pensare a quel nostro vicino un po’ strano, alla nostra vecchia prifessoressa antipatica, al politico che odiamo tanto. Tutto in chiave umoristica.

Ansia e disagio: ★☆☆☆☆. Non preoccupatevi, potete rilassarvi e bervi un cocktail fresco all’ombra di una palma mentre lo leggete, senza sentirvi turbati.

Difetti: ★☆☆☆☆. Ce n’è uno: non finisce. Sull’ultima pagina spicca un disegnetto, una biro che scrive: “continua…”
Shit. Dovrò aspettare.

 

Le emozioni che trasmette

Un personaggio fico: Verdun. Verdun è il giudice che tutti vorremmo vedere in un tribunale. Sempre giusta, sempre corretta, sempre incorruttibile. Si maschera da cessa a pedali per non essere corteggiata ed invitata fuori a cena dai politici. Ha vissuto vent’anni con una poiana sulla spalla per spaventare i professori. Ha un marito di due metri che fa il fornaio e la ama alla follia. Chi non vorrebbe essere come lei?

Personaggi da odiare: nessuno. Nella prima pagina c’è una lista dei personaggi presenti nel libro, e grazie a dio, aggiungerei. Sono tantissimi, appunto perché questo romanzo fa parte di una saga, e almeno possiamo conoscerli tutti e tenerli a mente facilmente. Fra questi, tutti sono Personaggi con la P maiuscola. Non hanno caratteristiche particolarissime che ci aiutano a distinguerli, espediente che solitamente li rende irreali e che ci può anche stare in un fumetto che parla di mutanti o in un manga che parla di ninja, ma non in un romanzo che parla di un rapimento. Le loro particolarità sono normalissime, definiscono un carattere che possiamo davvero aver incontrato nella nostra vita, e che per questo motivo li rende diversi ma in modo realistico.

Colore: arancione. Arancio come il sole, arancio come la frutta che va a raccogliere Malaussène, arancio come il pane fragrante che sforna il marito di Verdun.

Canzone: una canzone dell’estate che passano alla radio, allegra e coinvolgente, che ascoltano sia i ragazzi entusiasti che i vecchi poliziotti stanchi del turno di notte.

Rumore: il clic del pulsante di avvio del registratore, l’audio che graffia, il silenzio degli astanti per ascoltare meglio.

Odore: il profumo della resina dei pini nel bosco, ma anche il profumino di uno stufato di lepre.

Sensazione: l’indifferenza forzata di Malaussène che si scontra con l’inevitabile bisogno di verità di Verdun.

Sapore: quello metallico del sangue, e la fragranza di un panino caldo.

Citazione: Come tutti gli autori, Alceste se la prende con la famiglia. Ma mentre i suoi simili accusano i genitori di corna, alcolismo, torture morali, Alceste per parte sua si limita a rinfacciare ai genitori di essere stati dei pessimi narratori!

 

pennac-1

 

Final Fantasy XVI – fauna da palestra

I video giochi sono molto realistici.
Prendete Fallout, ad esempio, dove il capo dell’organizzazione più temuta e che tiene tutti in pugno è lì da duecento anni. Un po’ come in Italia. Possiamo citare anche Portal, dove una stagista sottopagata fa un sacco di lavoro per niente, perché in fondo the contratto is a lie.
Potrei citarne tanti altri, ma voglio focalizzare la vostra attenzione sui parallelismi che ho trovato fra Final Fantasy, o un RPG in generale, e la fauna della palestra che frequento.
Innanzi tutto, gli obiettivi sono praticamente gli stessi: ottenere più esperienza degli altri per salire di livello e diventare più forti e cazzuti. Ciò che colpisce di più è, però, proprio la divisione degli utenti della palestra in vere e proprie classi.

Ci tengo a precisare che tutte le citazioni in corsivo sono cose che ho sentito REALMENTE.

ffxiv

 

Le incantatrici

incantatriciDonne sui trenta/quarant’anni che, senza lasciarsi scoraggiare dalle giovani avventrici, ci tengono particolarmente a far capire che sono ancora sulla piazza. Entrano nello spogliatoio trionfanti, gioiose, descrivendo minuziosamente alle astanti i particolari delle loro notti di fuoco con sconosciuti. Come cuccano loro, nemmeno Casanova: a loro basta guardare un manzo che eccolo cadere ai loro piedi per l’eternità. Ciononostante, hanno un cuore tenero: spesso, nascoste nel vano doccia ed al riparo da orecchie indiscrete, chiedono aiuto alle veggenti per chiedere se veramente l’oggetto del loro desiderio sia innamorato:

“Quando lo vedo per strada, si gira dall’altra parte. Dici che è amore?”
“Sicuramente c’è attrazione”

 

I combattenti

E’ facile riconoscere un combattente, perché molto spesso indossa una canottiera con la scritta “combattente”, o “warrior”, o “no pain no gain”, o “chi siete Spartaniiiii”. Il combattente è un predestinato, perché il suo DNA non è come il nostro: lui è stato partorito da due uomini cazzutissimi che gli hanno42a95f3f9a3482c00a051778a93a147c.jpg garantito entrambi un corredo genetico aploide di Y. E’ un Superuomo, l’Ubermensch, colui che è talmente maschio che addirittura non va con le donne, che poi gli attaccano la debolezza. Solitamente, gli esemplari più giovani sono in palestra per completare l’allenamento di crossfit per ogni giorno in cui non hanno crossfit, mentre quelli più anziani sono i più particolari da osservare: canottiera smanicatissima che scopre i capezzoli, baffoni e testa calva, a-a-abbronzatissimi che manco le Incantatrici più cougar. Ricordano vagamente i sollevatori circensi dei ruggenti anni 30.
Amano particolarmente i tatuaggi e piercing, che devono rigorosamente uscire e sbucare dalle canottierine.

“Wow, è un piercing al capezzolo quello?”
“Certo, raccatta figa, non lo sai?”

 

I maghi bianchi

Altrimenti detti i support, sono quelli che, spinti da un encomiabile istinto da magocrocerossina, aiutano tutti. Ti serve che qualcuno ti porti il tappetino? Ci sono loro! Hai bisogno di acqua? Ecco che sono andati a prenderla al bar! Fa caldo? Sono disposti anche ad aprirti le finestre e accendere il condizionatore. Se stai sollevando pesi troppo pesanti, ti daranno una mano nell’alzarli, e se hai bisogno di motivazione si piazzeranno vicino a te contandoti le ripetizioni e spronandoti a continuare. Sono davvero carini e gentili, ma, obiettivamente, cosa diavolo pagano l’abbonamento a fare, se non hanno mai sollevato un peso in vita loro?

 

Gli arcieri

Gli arcieri, come i grandi elfi, sono una razza antica, lontani e immutabile come il tempo stesso: hanno veramente tantissimi anni, e come è ovvio sanno tutto, molto più di te, anche se tu ti alleni da dodici anni e 1b697a90e2a50c4383a0a161ad2afb11loro hanno appena fatto l’abbonamento. Tirano frecciatine a tutti, sia a te, che non sarai mai esperto quanto loro, sia alle povere ragazze, che si vedranno maldestramente corteggiate, sia alle incantatrici, che, quando si trovano davanti a questi esseri eterni, sfoggiano una morale cristiana talmente dura che Gesù spostati che sei un tantino libertino. Loro pensano di essere le colonne portanti della palestra, ma in realtà finiscono per diventarne le mascotte.

“Signorina, lo legge tutto quel libro?”
“No guardi, solo le pagine dispari…”
“Ah, ma così perde un sacco di storia, sa?”

 

I cercatori

cercatori.PNGI cercatori sono la classe più fastidiosa dell’intera palestra, molto più degli arcieri: infatti, con un po’ di accortezza sono riuscita a sviluppare l’abilità-R bloccafrecce grazie al prezioso aiuto del manufatto Cuffiette, e riesco ad evitare ogni frecciatina.
Per i cercatori, invece, non c’è tattica che tenga.
I cercatori non si lasciano intimorire da nulla, perché loro sono in palestra per un preciso motivo: cuccare, e cuccheranno. O meglio, così continuano a ripetere a se stessi.
E’ facile riconoscerli, sebbene cerchino di ostentare una certa nonchalance: sono volgari, chiassosi, confusionari, telefonano in mezzo alla sala pesi a voce alta e si fermano a fissare il sedere delle povere ragazze che passano. Ovviamente vi sono anche esponenti del sesso femminile, ci mancherebbe: in palestra non esiste sessismo.

“Come sei brava a cavalcare la palla ginnica, sembra che stai cavalcando un ca***!”
“Ma nooo, io i ca*** li cavalco così, guarda…”

 

I maghi neri

Aka coloro che rimangono sempre negli 273171-final_fantasy_tactics_a2_hume_black_magespogliatoi e in sala non entrano mai, perché le loro effettive abilità corpo a corpo fanno cagare. Sono scarsissimi, fondamentalmente perché non hanno mai fatto un minuto di allenamento. Di solito prediligono i corsi agli attrezzi, perché è più facile cazzeggiare.
Non si sa bene perché spendano tutte quelle centinaia di euro per l’abbonamento se poi non fanno niente: quello che però si conosce su questa misteriosa classe è il loro innato razzismo, sebbene siano maghi neri (e molti di essi non abbiano origini italiane, quindi, seriously WTF?!)

“Non mi fai schifo, non sei mica ECSTRACOMUNITARI tu”
“Signora, per favore, non dica queste cose”
“COME TI PERMETTI FALSA BUONISTA”

…Meglio lasciarli perdere, levarsi in fretta e filare fuori nel parcheggio.

I bardi

Quelli che parlano, parlano, ma alla fine…
In palestra ho sentito cose che voi umani non potete neanche immaginare. Sedicenti Hulk che dicono di fare ripetizioni da trecentoquaranta addominali per volta. Avvocati che fanno vincere milioni di euro ai propri clienti. Aspiranti scrittori convinti che guadagneranno più di Stephen King. Scheletrici cinquantenni che, sicuri del proprio fascino, danno per certo che sedurranno la figlia bardventenne del loro capo.
Insomma, ho sentito cagate talmente atroci che Zeus si è improvvisamente dimenticato di non essere più una divinità venerata, è sceso dal cielo e li ha fulminati seduta stante. Quando sentite una bomba talmente grossa che Hiroshima spostati, ecco, avete davanti un Bardo. Il Bardo si vanta non necessariamente di prodezze da palestra, ma di ogni cosa. A volte, come nel caso degli avvocati, lo fanno per ottenere clientela (e fanno bene, perché quando io ho bisogno di un difensore in tribunale dove vado a cercarlo? Alla spalliera, of course), ma la maggior parte delle volte mentono per sentirsi parte della Grande Famiglia della Palestra, perché evidentemente non si sentono all’altezza degli altri.
Solitamente le bugie sono volte all’accattivarsi gli altri utenti, sia dal punto di vista sessuale (vedi i Cacciatori) sia perché vogliono crearsi un personaggio che nella vita reale non sono. E’ un po’ triste, lo so.

“La vedi quella bici? L’ho pagata quattromila euro! Eh ma io faccio almeno 50-60 chilometri quando esco!”
*uscendo dalla palestra, lo supero sulla mia bici da passeggio mentre arranca sulla rampa d’uscita*

 

Gli alchimisti

La palestra è un po’ il loro bazaar. Ovunque 3330527_origsi possono trovare appesi ai muri cartelloni pubblicitari delle loro pozioni miracolose, o stand che vendono le magiche polveri.
Gli alchimisti, contrariamente ai loro antenati, non fanno niente di nascosto; tuttavia, proprio come nell’antichità, si sostituiscono alla figura del medico, dando importanti consigli nutrizionali ed elargendo rigide tabelle alimentari.
I combattenti sono i loro principali acquirenti. Si fidano completamente di loro, o in battaglia potrebbero fallire o, peggio ancora, svenire durante un allenamento di crossfit.
Così come sappiamo che la prima regola dei combattenti che fanno crossfit è dire a tutti che fai crossfit, la seconda regola dei combattenti è non avere mai il misurino delle proteine vuoto.
Proteine, che parola taumaturgica! Per molti di loro basta solo sentirsela dire, che automaticamente alzano a freddo di quaranta chili il loro massimale. E’ portentosa, fantastica, magica.
Purtroppo, molte volte i Bardi fingono di essere anch’essi clienti fidati degli Alchimisti, ed è difficilissimo scovarli perché veramente in questo ambito non c’è limite all’esagerazione.

“Ieri in pizzeria ho mangiato la 40-30-30: 40% carboidrati, 30% grassi e 30% proteine!”
“E cos’è?!”
“Pizza col prosciutto”

 

I tank

25937178.jpgI tank sono quelli premiati al valore, che entrano immediatamente nel vivo della battaglia; in questo valoroso gruppo rientro io, che mi butto sugli attrezzi convinta e cazzutissima, salvo poi morire due secondi dopo.

“Tutto bene, Stomaco? Ti vedo provata”
“Certo, cert… Coff… Devo solo… Coff… Sputare un pol… Coff…”
“Ottimo! A bolla! Altre dieci ripetizioni, su!”